Convinzioni religiose, opportunità politica, tradizioni consolidate contano poco quando la realtà irrompe nella vita. Se lo deve essere detto il senatore dell’Ohio Rob Portman, uno dei politici repubblicani più in vista, conservatore vicino al Tea Party, uomo del Midwest che alle ultime elezioni giocò un ruolo centrale nella campagna di Mitt Romney. La realtà è entrata nella vita di Portman quando, due anni fa, il figlio Will gli ha detto di essere gay. Ora Portman spiega di aver cambiato idea sui matrimoni omosessuali, di cui fino a qualche tempo fa era uno strenuo oppositore, e di ritenerli “qualcosa cui bisogna consentire”.

Per annunciarlo, Portman ha chiamato nel suo ufficio la troupe della Cnn e ha raccontato la sua storia di padre, che a un certo punto si è scontrata con quella di politico e uomo pubblico. Due anni fa, al primo anno di università a Yale, l’allora 19enne Will andò dai genitori, Rob e Jane, e gli disse di essere gay. “Sono omosessuale da quando ricordi – disse – non è una scelta ma è il modo in cui sono”. “Amore. Sostegno. Sorpresa” è quello che oggi Rob Portman dice di aver provato allora. “Non mi era mai passato per la testa che Will potesse essere gay”.

Da quel giorno di due anni fa è iniziato per Rob Portman un viaggio che si è concluso soltanto oggi, con la presa di posizione a favore dei matrimoni gay. Una delle prime cose che Portman fece fu chiedere un incontro con l’ex-vicepresidente Usa Dick Cheney. Anche Cheney ha una figlia lesbica, Mary, da anni impegnata nel movimento per i diritti omosessuali. Il vice-presidente, una delle bestie nere dei progressisti americani per il suo ruolo nella “war on terror” di George W. Bush, disse a Portman di “seguire il suo cuore”, come aveva fatto lui, accettando l’orientamento affettivo di Mary e diventando, inaspettatamente, un sostenitore delle nozze gay.

E’ quello che Portman racconta di aver fatto in questi due anni. Alla domanda della giornalista di Cnn, sul perché Portman abbia deciso di annunciare pubblicamente la storia di Will – che oggi è al terzo anno di università e sembra passarsela molto bene – Portman ha risposto che la Corte Suprema sta considerando due casi che vertono sui matrimoni gay e che prima o poi i giornalisti sarebbero andati da lui e gli avrebbero chiesto un parere. Tenere nascosta l’omosessualità di Will non era più un’opzione.

C’è un aspetto della vicenda che resta poco chiaro – e che tale resterà probabilmente per sempre. Portman svolse un ruolo fondamentale nella campagna elettorale di Mitt Romney, soprattutto nella definizione del programma economico dei repubblicani, da sempre la sua passione e specialità. Il suo nome fu tra i primi a emergere, quando si trattò di scegliere un candidato vice-presidente. Alcuni dissero che Portman non sembrava avere il carisma necessario – l’uomo infatti non è particolarmente comunicativo – ma nessuno ne mise in dubbio competenza e visione (conservatrice). Alla fine il suo nome fu però accantonato a favore di Paul Ryan. Oggi, a precisa domanda, Portman risponde di aver immediatamente detto a Romney e al suo staff di avere un figlio gay, ma che la cosa non giocò alcun ruolo nella sua esclusione.

Difficile provarlo o smentirlo, anche se va ricordato che la campagna repubblicana fu sin dalle primarie rivolta a catturare il voto dei cristiani evangelici. Quello che conta a questo punto è piuttosto il percorso umano di un politico che per anni si è fatto paladino dei valori della famiglia tradizionale, che ha votato per inserire nella costituzione un bando ai matrimoni gay, che fu contestato per le sue posizioni anty-gay alla University of Michigan, e che ora grazie al figlio cambia radicalmente opinione e dice che “anche gli omosessuali devono godere della gioia che io e mia moglie Jane abbiamo conosciuto per 26 anni”.

L’aspetto forse più rivelatore della confessione di Portman riguarda però proprio il partito repubblicano. Molti big del partito hanno fatto arrivare il loro sostegno privato a Portman. Hanno parlato i funzionari, gli advisor, gli addetti stampa e alle pubbliche relazioni, una nomenclatura nata per la gran parte dopo la fine della guerra in Vietnam e per cui i matrimoni gay sono ormai un dato totalmente accettato. Ha spiegato su Facebook Brad Dayspring, direttore comunicazione del partito: “Sono conservatore perché credo nella libertà individuale e mi è difficile accettare l’idea che il governo federale abbia il diritto o l’autorità di impedire ai miei amici gay o ai membri della mia famiglia di dividere la loro vita con la persona che amano”.

Alla conferenza annuale della Conservative Political Action Conferente il tema omosessuale, sino a qualche tempo fa brandito come un’arma, non è stato quasi toccato. E un gruppo di politici repubblicani di primo piano, tra cui l’ex-candidato alla presidenza Jon Huntsman, ha inviato alla Corte Suprema un documento di appoggio alle nozze gay. Sono iniziative che svelano qualcosa che tutti a Washington ormai sanno – e cioè che l’élite dirigente del partito, i suoi funzionari e gli strati urbani del suo elettorato sono ormai del tutto a proprio agio con l’idea dei matrimoni omosessuali – ma che fanno fatica a dichiarare, nel timore di perdere settori importanti di elettorato conservatore e cristiano. 

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