“La trattativa languiva e ci voleva un altro colpettino… Ero io divenuto oggetto della trattativa, vittima designata. C’è stato, insomma, un momento in cui sono entrato in questo ‘giochino’. Per fortuna sono qui a raccontarla…”. E’ il neo presidente del Senato Piero Grasso, ex magistrato ed già Procuratore nazionale Antimafia, a svelare un particolare di quel periodo di stragi e sangue che videro cadere Falcone, Borsellino e gli uomini delle scorte. Grasso racconta questo pericolo scampato a un convegno sulla legalità a Roma, per un appuntamento previsto da tempo, e alla platea del teatro Golden riserva particolari che definisce inediti sulla trattativa Stato-mafia. Particolari Inediti e molto personali visto che, come lo stesso Grasso sottolinea, “questa è una storia che dimostra di come la vita è fatta di coincidenze…”.
Il presidente Grasso ricorda i particolari rivelati da alcuni collaboratori di giustizia attorno al mancato attentato di Monreale, nei confronti di un magistrato, che doveva avere luogo dopo che il superboss Totò Riina aveva mostrato insoddisfazione per lo stato della cosiddetta trattativa Stato-mafia: “Riina ad un certo punto si lamentò perché” la trattativa non andava avanti e c’era bisogno di uccidere un altro magistrato simbolo. Il retroterra a cui si riferisce Grasso è quello successivo alle stragi di Capaci e di via D’Amelio e ai preparativi dell’attentato a Monreale dove l’allora giovane magistrato si recava abitualmente con la moglie a visitare la suocera in precarie condizioni di salute.
Grasso ha raccontato i motivi per cui l’attentato poi non ebbe luogo, prima a causa di un telecomando non adatto alla bisogna (nelle vicinanze dell’abitazione c’era una banca con un sistema di allarme che poteva interferire) e poi l’avvenuta cattura dello stesso Riina. La platea del teatro Golden è rimasta particolarmente colpita dal resoconto di come Grasso, nell’ambito delle sue indagini, ebbe un colloquio con un collaboratore di giustizia, che riferiva della necessità di dar luogo al “colpettino” commissionato da Riina contro un magistrato di cui però agli altri investigatori non riusciva a dare il nome. “Quando fui ammesso alla sua presenza – racconta Grasso – lui si dà una manata sulla testa e resta come paralizzato riuscendo a dire soltanto ‘è lui, è lui…’ ed è così che ho scoperto di essere diventato oggetto della trattativa Stato-mafia”.
Nei giorni scorsi sono state accese le polemiche sull’indipendenza della magistratura sopratutto dopo la manifestazione del Pdl a Palazzo di Giustizia di Milano per protestare contro il trattamento dei giudici nei confronti di Silvio Berlusconi, imputato a Milano in due processi ancora in corso l’appello Mediaset e il primo grado del processo Ruby. E così il presidente del Senato ribadisce “l’autonomia e l’indipendenza della magistratura sono un dettato della Costituzione, un valore da difendere, non sono un privilegio. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura rappresentano con l’informazione il controllo di legalità sulla società”. Poi Grasso ricorda che si d diceva che la mafia a Roma non esiste “invece piano piano siamo venuti a scoprire come nella capitale ci siano tutte le criminalità: mafiose, straniere e locali”. Grasso sottolinea che questa criminalità deve essere posta sotto controllo, ma che rispetto alla tolleranza zero sarebbe preferibile una “sicurezza integrata, con una maggiore presenza di polizia e forze dell’ordine”. Occorre però anche che “la società si organizzi e pianifichi il problema sicurezza con un apporto pubblico e una partecipazione globale”. Grasso parla anche del fenomeno della “povertà criminogena: è stato un pugno nello stomaco scoprire che in alcune periferie di Roma una vecchietta di 80 anni che non riusciva ad andare avanti con la pensioncina insieme ai cornetti distribuiva la cocaina, o donne che per sfamare i propri figli andavano a rubare”.