Non credevo che l’avrei visto succedere, e invece sembrerebbe proprio essere vero: Bosco Ntaganda, tristemente noto come “Terminator”, ricercato dalla Corte Penale Internazionale (Cpi) dal 2006 per crimini di guerra, ex capo ribelle, ex Generale dell’Esercito Congolese, ex ammutinato, si è consegnato ieri mattina all’ambasciata statunitense di Kigali, Rwanda. La portavoce del Dipartimento di Stato Americano, Victoria Nuland, l’ha confermato qualche ora dopo ai giornalisti, mettendo così fine a ore di voci frenetiche e incredule e di fiato sospeso.
Mille pensieri mi frullano nella testa, talmente accelerati che non è facile dissiparli.
Chi è Bosco Ntaganda?
Ntaganda è un ribelle, innanzi tutto. La sua carriera militare è iniziata nel 1990, quando, ad appena 17 anni, si è unito al Fronte Patriottico Ruandese, oggi al potere a Kigali. Da allora ha fatto parte di diversi gruppi armati e nel gennaio 2008, dopo l’arresto di Laurent Nkunda in Ruanda, è diventato il leader dei ribelli del CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo). Il 23 marzo 2009 ha firmato un accordo di pace con il governo di Kinshasa e, nonostante le preoccupazioni di tanti gruppi di difesa dei diritti umani, è stato integrato con tutti i suoi uomini nei ranghi dell’esercito regolare.
Da allora, nonostante il mandato di cattura spiccato nei suoi confronti dalla Cpi, per anni ha fatto una vita pubblica di lusso sfrenato, commerciato minerali “sporchi”, seduto “legittimamente” al banchetto degli uomini potenti del paese. Poi, nell’aprile del 2012, offeso dalle promesse non mantenute del presidente congolese Joseph Kabila, insieme a circa altri 700 soldati ha disertato, tornando sulle colline del Nord Kivu e creando il nuovo gruppo M23 (in onore proprio di quegli accordi del 23 marzo 2009), che nel giro di qualche mese è riuscito a prendere Goma, capitale della Provincia e città strategica del Congo dell’Est.
Poi, alla fine di febbraio, nel M23 sono iniziate le guerre intestine. Una fazione, dopo essersi ritirata da Goma, sembrava propensa a negoziare con il governo, mentre un’altra, diretta da Ntaganda, sembrava rifiutare ogni tipo di trattativa con Kinshasa.
Durante lo scorso week-end si era saputo che gli uomini della fazione oltranzista di Ntaganda, guidati dal vescovo Jean-Marie Runiga, erano fuggiti in Ruanda, paese accusato da diverse fonti, tra cui un Gruppo di Esperti delle Nazioni Unite, di aver sostenuto, finanziato e più o meno direttamente controllato i ribelli dell’M23.
Oggi il Dipartimento di Stato Americano ha annunciato che Bosco Ntaganda si è consegnato all’ambasciata degli Stati Uniti a Kigali, chiedendo di essere trasferito all’Aia.
Non posso fare a meno di domandarmi: perché? Perché un uomo così oscuro e potente, spesso descritto come ossessionato dal rischio di un arresto, accusato di reclutamento di bambini soldato, stupro, persecuzione etnica ed omicidio, si è infine volontariamente arreso, chiedendo di essere consegnato ai giudici della Cpi?
Non sono capace di darmi una risposta, a dire il vero; né sono del tutto certa che una chiara risposta si avrà mai.
Forse aveva perso l’appoggio dei suoi sostenitori Ruandesi? Forse sono stati proprio i suoi sostenitori a convincerlo a consegnarsi alla giustizia? Forse l’hanno tradito e vuole essere sicuro che la sua versione dei fatti sia ascoltata e resa pubblica, certamente più di quanto accadrebbe se fosse processato in questa zona del mondo? Forse la sua figura era indebolita, tanto politicamente che militarmente, e il Generale aveva intravisto la sua fine?
Non lo so, ma spero davvero che i prossimi giorni possano aiutare a fare chiarezza.
Certo, devo ammettere che il suo arresto non sembrerebbe, almeno per il momento, essere accolto dalla popolazione congolese con lo stesso entusiasmo che non ho potuto fare a meno di sentire io. Tante, troppe volte del resto ho sentito colleghi, amici e conoscenti dire che quelle della Cpi è una giustizia politica, in cui si indaga su qualcuno e non su qualcun altro.
Rimango comunque sono curiosa di sentire cosa se ne dirà domani, cosa Ntaganda racconterà di sé, e più di ogni altra cosa spero soprattutto che quest’arresto porterà un almeno un po’ di pacificazione a queste terre dilaniate. Certo, rimane da chiedersi a che prezzo…