C’è un conto corrente aperto poco tempo fa in una banca in pieno centro città, intestato alla Curia di Bologna con depositati 14 milioni 520 mila euro. Su questa cifra si è riaccesa lunedì mattina la battaglia in tribunale sull’eredità della multinazionale dei cancelli automatici Faac. Da una parte c’è l’Arcidiocesi di Bologna, che grazie a un testamento olografo ha ereditato un patrimonio milionario. Dall’altra ci sono invece i parenti del defunto Michelangelo Manini, il manager scomparso prematuramente un anno fa, che contestano da sempre il lascito.

A dicembre 2012 hanno ottenuto il sequestro cautelare di tutto il patrimonio, in attesa che un altro giudice decida sulla veridicità di quel testamento a favore della Chiesa. Ma il custode giudiziario che dovrà amministrare i beni sequestrati, non riesce a mettere mano su quei 14 milioni. I parenti minacciano di chiamare in causa lo stesso cardinale Carlo Caffarra, fresco di Conclave. La Curia però risponde che quei beni non rientrano nel sequestro. 

I congiunti del defunto, assistiti dall’avvocato Rosa Mauro, hanno chiesto nell’ultima udienza di fronte al giudice del tribunale di Bologna Maria Fiammetta Squarzoni, che la Chiesa bolognese mettesse a disposizione tutti gli utili del bilancio 2011 della azienda, depositati su un conto intestato all’Arcidiocesi. Si tratta appunto quei 14 milioni che spettano a chi a luglio 2012 deteneva il 66 % dell’azienda, cioè la Curia.

Il rappresentante della Chiesa nel cda della Faac, Andrea Moschetti – nominato prima che i parenti ottenessero il sequestro cautelare dell’eredità – ha spiegato al giudice di non aver voce in capitolo su quel conto corrente. La richiesta, ha detto Moschetti in tribunale, va rivolta direttamente al Cardinale o al suo procuratore generale.

I parenti minacciano azioni penali contro la Chiesa: ”Ho dato mandato al mio legale che, ove il cardinale di Bologna non metta al più presto a completa disposizione del custode, le somme volturate su conti della Curia e gli utili della FAAC, con gli intessi maturati, dovrà procedere immediatamente ad un’azione penale per appropriazione indebita aggravata”, ha detto lo zio di Manini, Carlo Rimondi, capo fila dei parenti. ”Lascia sconcertati questa posizione legale e confido che il nuovo vento che sembra stia soffiando da Roma, illumini la mente di tutti e non faccia pulizia solo in Vaticano”.

Diverso il parere dell’avvocato dell’Arcidiocesi: ”Il provvedimento che i parenti pretendono di far valere non ricomprende quelle somme perché non erano state chieste. Sono state riscosse dalla Curia nel mese di luglio 2012, quindi dopo la morte di Manini, ma prima del sequestro, che non parla di quegli utili”, spiega l’avvocato Michele Sesta. ”La Curia tuttavia, con massima trasparenza, ha detto chiaramente dove sono quelle somme, a quanto ammontano e che non è stato toccato un centesimo”.

Il giudice Squarzoni, che a giorni potrebbe decidere se bloccare o meno quel conto da 14 milioni, il 18 febbraio 2013 aveva già detto che il sequestro non riguardava esclusivamente il patrimonio al momento dell’apertura della successione, ma anche i beni successivamente derivati, come interessi e utili. ”Quello che dice il giudice per me è sbagliato – prosegue l’avvocato Sesta, intervistato dal Fatto Quotidiano – e infatti le sue parole si scontrano con il fatto che quei soldi non li hanno potuti ritirare con il titolo del sequestro. Che – ribadisce il legale della Arcidiocesi – non dà alcun diritto su quelle somme”.

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