Chi è nato vicino ai fiumi, sa che l’acqua scorre veloce, le rive si gonfiano e che tutto cambia in un minuto. Non parlate di nostalgia a Francesco Guccini, mentre seduto all’osteria da Vito a Bologna, dietro ad un bicchiere di vino rosso, discute di musica e politica: “Come Presidente della Repubblica io ci vedrei Romano Prodi, ma so che è quasi impossibile. Quando hanno votato Napolitano, anch’io avevo ricevuto due voti, solo che uno è andato perso e allora nessuno se ne è accorto. Me l’ha raccontato Romano”.

Se non lo si vedesse di persona, si farebbe fatica a crederci. Un’immagine uscita dal passato, di chi quei tavoli e quell’osteria l’ha frequentata ogni sera per anni e ci torna quasi solo in occasioni “forzate”. Si presenta il film della moglie, Raffaella Zuccari e dell’amica Nene Grignaffini, un documentario dal titolo “La mia Thule” e che ha seguito da vicino la registrazione dell’ultimo disco. Ma all’osteria Da Vito, Guccini era da un pezzo che non lo si vedeva. “Purtroppo qui non è più come un tempo, prima la sera ci trovavamo a suonare e si poteva fumare dentro”. E’ tutto diverso, ma il cantante di certo non ne fa una questione di stato. E poi continua: “Sì è un momento difficile per la nostra Italia, non so cosa succederà. Ho visto l’arrivo del Movimento 5 Stelle e non riesco ancora ad inquadrarlo bene. Da una parte penso che il rinnovamento faccia bene, dall’altra la chiusura e le regole ferree mi fanno paura”. L’eschimo verde è nell’armadio, le forze quelle del montanaro le si tengono per leggere e scrivere e anche la musica è diventata un qualcosa in più, a cui pensare meno perché alla fine era diventato un peso.

L’addio si legge nelle parole degli amici, e nei compagni di viaggio. Il film lo presentano le due registe, ma anche Francesco Conversano. E poi Vince Tempera, insieme agli amici musicisti Roberto Manuzzi, Ellade Bandini, Flaco Biondini, Pierluigi Mingotti e Antonio Marangolo. “Il film è un gesto d’amore, non saprei come altro definirlo – dice la moglie. E nella pratica è molto di più, una cronaca giornaliera di un saluto che fa soffrire. Che l’Ultima Thule sia il disco d’addio di un’intera carriera faticano a dirlo un po’ tutti, ma chi lo sa bene è Francesco Guccini: “Ho tre chitarre appoggiate al muro. Non le prendo mai in mano, vorrà dire qualcosa? Gli ultimi tempi mi veniva male anche ai polpastrelli. Ma questo non vuol dire che non faccia più niente. Continuo a fare altre cose. Sto scrivendo la seconda parte di “Dizionario delle cose perdute” e con Machiavelli scriveremo i gialli. Beppe Carletti mi ha chiesto di scrivere una canzone per i Nomadi, ci sto pensando potrei anche farlo”. Una frase che risveglia subito fan e critici musicali, quasi a dirsi di sottecchi che “Forse non smetterà proprio adesso”. Anche se poi Guccini continua: “Non penso mai durante il giorno alla musica, a comporre, a suonare la chitarra. Mai”. Sa che dice la più grande delle bestemmie, ma educa alla fine, agli addii che ci sono anche per i cantanti che si chiamano Francesco e che da Vito hanno suonato tante volte..

Vito è la casa della musica a Bologna, di quella che ha fatto la rive gauche di una Parigi che qui nessuno ha mai visto, anche perché se lo avessero fatto non gli sarebbe piaciuta. Non avrebbe avuto i mattoni rossi e i portici scuri e tutto quel grigio non li avrebbe fatti scrivere. Seduto a tavola Guccini parla di passato, della giovinezza che non tornerà più e di quei giorni al mulino di Chicon di Pavana, raccontati nel film di Raffaella e Nene. “C’era questa atmosfera molto bella, pervasa e percorsa da loro che filmavano continuamente. Una noia mortale quando hanno girato “questa cosa”. Per fortuna che il mulino ha retto benissimo alla prova”. Guccini è stato il padrone di casa per tutto il tempo delle riprese, svolte in contemporanea alla registrazione del disco. E se la gara è sui ricordi, il cantante è il primo a cominciare: “In quel mulino ho vissuto per anni. Ad esempio nell’ingresso dove abbiamo messo la batteria, prima entravano i muli e i somari. Là dove si suonava la chitarra c’era il magazzino. Oppure sopra al letto dove dormiva mio zio o mio nonno, segnavano la mia altezza con delle tacche”.

Una geografia dei ricordi, con quell’alone di passato fatto entrare in tutti i modi nel disco “L’Ultima Thule”. “Dove ho cantato era la sala buona, quella dove si aspettavano gli ospiti importanti e c’era il forno dove facevano il pane. E poi la cucina, là dove il pomeriggio si facevano le merende a pane e salame e vino, oppure le tisane”. Poi le passeggiate fino in trattoria la sera dopo aver finito di suonare. Francesco Guccini di quel viaggio ricorda i dettagli, mescolati con il passato. Lo rimpiangono già gli amici e chi lo ascolta da sempre. Lo rimpiangono da Vito e sotto i portici a Bologna. Mentre il cantante ha già la mente alla prossima storia, che è sempre la sua. 

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