“Vorrei chiedere, per favore a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo ‘custodi’ della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!"
“Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!”. È l’appello che Papa Francesco ha rivolto, stamane, in una piazza San Pietro non gremita, nell’omelia della Messa per l’inizio del suo pontificato. Una celebrazione che fino a Paolo VI era chiamata di “intronizzazione” del vescovo di Roma, ma che da Giovanni Paolo I in poi, abbandonata la tiara, ha assunto il carattere di una semplicissima Messa preceduta da due gesti significativi: l’imposizione del pallio, l’insegna liturgica di lana bianca simbolo del vescovo come buon pastore e, insieme, dell’agnello crocifisso per la salvezza dell’umanità, e la consegna dell’anello del pescatore con l’immagine di Pietro con in mano le chiavi. Le prime parole sono state per Benedetto XVI.
“Vorrei chiedere, per favore, – è stato l’appello di Papa Francesco – a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo ‘custodi’ della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per ‘custodire’ – ha sottolineato Papa Jorge Mario Bergoglio – dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!” che, come Papa Francesco ha precisato, non è “la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, di amore”.
È il vero programma di governo del Pontefice argentino che, prima di indossare i paramenti per la celebrazione, ha fatto un lunghissimo giro in papamobile per salutare i fedeli presenti, scendendo anche dalla jeep per non privarsi del contatto umano. Immancabili gli auguri di Bergoglio per Benedetto XVI, che ha seguito la celebrazione in televisione da Castel Gandolfo, nel giorno del suo onomastico: “Gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza”. Soltanto sei, in rappresentanza dell’intero Collegio Cardinalizio, i porporati che hanno fatto l’atto di obbedienza al Papa: Giovanni Battista Re e Tarcisio Bertone per l’ordine dei vescovi, Joachim Meisner e Jozef Tomko per quello dei presbiteri e Renato Raffaele Martino e Francesco Marchisano per quello dei diaconi.
Nell’omelia Francesco, che per la prima volta dall’elezione di mercoledì scorso si è definito Papa, ha parlato della sua nuova missione. “Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, – ha detto ai fedeli – celebriamo l’inizio del ministero del nuovo vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai – ha aggiunto Francesco – che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!”. Un Papa “custode” come san Giuseppe, il patrono della Chiesa universale, che, come ha spiegato Francesco, “sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge”. Ma, ha sottolineato il Papa, “la vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio! E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, – ha concluso Francesco – ci sono degli ‘Erode’ che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna”.
Ad ascoltare il Papa, oltre ai membri delle 132 delegazioni ufficiali, con in primis quelle dell’Argentina guidata dalla presidentessa Cristina Fernández de Kirchner, che ieri ha pranzato con Francesco, e dell’Italia con le cinque più alte cariche dello Stato, anche numerosi delegati di altre Chiese e comunità cristiane e di altre religioni, tra i quali, musulmani, buddhisti e induisti. Prima della celebrazione, Francesco si è collegato con i fedeli di quella che è stata, fino all’elezione al soglio di Pietro, la sua diocesi, che si erano radunati nella piazza principale di Buenos Aires, plaza de Mayo. Il Papa, infatti, attraverso il Nunzio apostolico in Argentina e i vescovi della Nazione, aveva scoraggiato i suoi connazionali a venire a Roma per prendere parte alla celebrazione odierna, invitandoli a donare in beneficenza i soldi che avrebbero speso per il lungo viaggio. Un gesto analogo lo compì, nel 2001, quando ricevette la berretta rossa dalle mani di Giovanni Paolo II.