Beppe Grillo lo sta scoprendo ogni giorno, e come lui Gianroberto Casaleggio. Più ancora, i deputati e senatori 5 Stelle. Fare politica in Parlamento senza i leader accanto, o “megafoni” che siano, non è per niente facile. Soprattutto per chi non ha esperienza. Le sirene ammalianti sono continue e prima o poi qualcuno cede. Lo scenario è del tutto inedito. Il Movimento 5 Stelle è già dentro Comuni e Regioni, ma Camera e Senato sono contesti ben più insidiosi.
Se poi la legislatura è sdrucciola, e al Senato mancano i numeri per governare, ogni mossa diviene decisiva. Inevitabile che, al primo voto importante, ci sia stata una spaccatura (puntualmente ingigantita dai media, ma comunque esistente). Comprensibile la decisione dei 5 Stelle siciliani di votare Grasso, non tanto per stima nel “forte raffreddore” (citando Grillo) quanto per terrore dinnanzi a un’ulteriore “peste bubbonica”. Meno comprensibile, o comunque sgradevole, il post di Grillo sabato sera. Così istintivo e bilioso da necessitare un successivo post (ieri) più conciliante. Stessa sostanza, diversa forma. Dal minaccioso “trarre le conseguenze” al paterno “cascarci in buona fede”.
Anche Grillo sta comprendendo che il contenitore rischia di contare più del contenuto. Da una parte i sogni di democrazia diretta, il web, la trasparenza. Dall’altra la realtà: gli incontri in Transatlantico, le scelte concrete da prendere, le responsabilità a cui non si è abituati. Terrorizzato all’idea di una Pandemia Scilipotica (“Almeno 10-15 mi tradiranno”), Grillo tenta disperatamente di serrare i ranghi. Prestando il fianco alle accuse eterne di fascismo.
La discussione alla Commissione Industria di sabato, al Senato, è stata emblematica. Il M5S raccoglie istanze e personalità diverse. Non nasce coeso ed è – a dispetto di quel che sostengono i soloni – più allergico di tutti gli altri ai diktat dall’alto. Per Scelta Civica è naturale non votare pilatescamente (situazionisti, in fondo, si nasce). Per i droidi del Pdl è facile credere che Ruby sia davvero la nipote di Mubarak. E il motto “fedeli alla linea” rimane un must a sinistra. Non così per il M5S: dentro c’è la destra e la sinistra, il No-Tav e l’idealista, il vegano e i pasdaran. Da qui le urla e i pianti di sabato pomeriggio. Segno di vitalità e passione, che possono però diventare difetti se uniti alla inesperienza e alla mancanza (fisica) di figure carismatiche a cui aggrapparsi.
Vito Crimi è bravo, ma non è Beppe Grillo. Infatti cambia spesso versioni: una al sabato sera (“L’importante era che non vincesse Schifani”) e una alla domenica (“Ha ragione Grillo”). Il comico è a Genova, il guru a Milano: il parlamentare 5 Stelle è solo. Ed è qui che si inseriscono i rischi di scollamento, di dispersione: di implosione. Il M5S è una truppa un po’ utopica e un po’ ingenua, un po’ manichea e un po’ sognatrice, che combatte ogni giorno con la propria natura eterogenea (pregio e difetto) e con concetti reputati fino a ieri alieni: pragmatismo, realpolitik, “menopeggismo”.
Qualsiasi decisione prenderà, scontenterà i massimalisti (“Hanno tradito”) e la Casta che sgomita per addebitargli colpe proprie (“Sono irresponsabili”). Il successo alle elezioni ha fatto sì che i parlamentari pentastellati fossero quasi “troppi”. Molti di loro hanno visto Grillo e Casaleggio per la prima o seconda volta dopo le elezioni, durante il raduno in hotel: neanche li conoscono. Non sono pronti, devono crescere in fretta e sono soli, con il loro Codice di Comportamento sottoscritto ma forse non assimilato fino in fondo (o magari non condiviso). Nel dubbio infinito tra esigere la rivoluzione hic et nunc, o piuttosto scendere a patti con la contingenza dell’emergenza storica, il 5 Stelle può affidarsi unicamente ai post di Grillo e agli sms di Casaleggio. Tutto il resto è solitudine. Dura è la vita del soldato alla guerra senza il generale a fianco, che ti doni forza quando sei in trincea. Mentre il bombardamento è quasi sempre ad alzo zero.
Il Fatto Quotidiano, 19 Marzo 2013