La Casta, di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo e Il costo della democrazia di Cesare Salvi e Massimo Villone, sono libri pubblicati tra il 2006 e il 2007, il primo ben presto diventato un cult, il secondo in realtà più efficace nella diagnosi degli sprechi della politica e dei possibili rimedi.
Salvi e Villone, da parlamentari dell’allora DS, avevano accompagnato la pubblicazione con la presentazione di tre proposte di legge con l’obiettivo di risparmiare ogni anno più di sei miliardi di euro. Il primo, un disegno di legge costituzionale prevedeva la riduzione a 600 del numero dei parlamentari (quattrocento deputati e duecento senatori), l’abolizione delle province e l’introduzione di un tetto al numero dei componenti del governo con un risparmio atteso di circa tre miliardi.
La seconda proposta stabiliva la soppressione molti enti inutili, tra cui l’Autorità dell’Energia e dei Lavori pubblici, la dismissione di Sviluppo Italia e la drastica riduzione dei consigli di amministrazione delle società pubbliche a non più di tre persone. Infine, il taglio dei rimborsi elettorali dei partiti, concessi in base agli effettivi votanti, con un risparmio di sessantacinque milioni l’anno.
Il terzo disegno di legge, il più importante, con riferimento all’articolo 49 della Costituzione, proponeva drastici cambiamenti ai partiti con l’obbligo d’introdurre nella loro vita interna regole democratiche, com’è nella prassi delle più solide e avanzate democrazie.
Sappiamo com’è andata, quei disegni di legge non furono presi in considerazione e il sistema politico nel suo insieme, senza distinzioni, proseguì ad alimentarsi di privilegi e sprechi, fino ai festini di Roma, alle spese folli dei consiglieri di tutte le regioni, ai casi giudiziari eclatanti d’importanti dirigenti di entrambi gli schieramenti, alle compravendite di parlamentari e voti, infine queste ultime elezioni con la vittoria politica indiscutibile del Movimento 5 Stelle che ha fatto dell’abbattimento di tutti i partiti e degli attuali gruppi dirigenti il suo cavallo di battaglia.
Si sarebbe potuto evitare quest’epilogo che ha sancito la più grave frattura tra cittadini e partiti? Penso di sì, se si fossero subiti, in questo lungo periodo due condizionamenti risultati esiziali: l’egemonia del berlusconismo e la rinuncia preventiva del maggior partito della sinistra a preservare alcune di quelle caratteristiche che nel passato avevano costituito gli anticorpi della sua virtuosa “diversità”.
Il PD ha reagito da parte sua a questa degenerazione della politica più che altro in difesa, tramortito dall’irruenza di Berlusconi e del suo mondo, se non addirittura ammaliato dallo sfavillio della sua personalità autocratica.
È così che nonostante i continui scricchiolii e le avvisaglie della perdita di consenso non è riuscito, o non ha voluto, rappresentare un’alternativa chiara e netta di valori a quelli della destra, anzi ha inseguito e proclamato a lungo, la mancanza di differenze sostanziali come elemento di un nuovo corso politico, tranne le brevi “primavere prodiane”.
Tutti i partiti, nessuno escluso, hanno tranquillamente condiviso l’aumento abnorme delle remunerazioni per le cariche elettive a ogni livello, fino a cifre insostenibili e ingiustificabili sotto ogni profilo, hanno lasciato che proliferassero comitati d’affari, mentre si sono inseguiti metodi discutibili di gestione della finanza pubblica, si è incoraggiata una politica di dissennato consumo di suolo e di grandi opere costose e inutili, la privatizzazione di aziende pubbliche, in nome di una concezione mercatista dello Stato.
L’assuefazione all’andazzo, ha contaminato anche i partiti della cosiddetta, e ormai defunta, sinistra alternativa: a fini di potere la democrazia interna è stata ridotta a larva, attraverso il silenziamento di qualsiasi critica e l’emarginazione di chiunque manifestasse opinioni dissenzienti.
L’accesso a cariche pubbliche la prevalente, se non in molti casi la sola ragione d’impegno, la condiscendenza, far finta di non vedere e non sentire, in nome dell’unità, della “stabilità” delle alleanze, della governabilità a prescindere. Ciò è avvenuto nello stesso tempo, ai livelli più alti come nelle istituzioni locali, determinando il crollo di credibilità e di consensi.
Una sinistra piegata dal dominio anche culturale del liberismo e dal darwinismo sociale, il cui stesso termine sembra sparito dal vocabolario politico, una parola che suona ora, nell’immaginario collettivo come falsa, negativa, fallace, mentre sappiamo che una sinistra nella società e in qualsiasi paese, non può non esistere se svolge la sua funzione.
Come si affronta questo nodo gordiano? Occorre un ripensamento dalle fondamenta che fornisca alla domanda sull’utilità di una sinistra politica risposte efficaci, un lavoro immenso che bisogna pur cominciare, con il coinvolgimento più ampio di tutte le forze disponibili e mettendosi in discussione, senza miopi autodifese di fortilizi ormai diroccati.
Con una crisi economica, sociale e politica di queste dimensioni, il consenso a Grillo è stato per milioni di elettori sfiduciati l’unico modo di manifestare attivamente e non con l’astensione, la ribellione a uno stato di cose insopportabile.
La crisi economica sembra non avere fine e non è da escludere che possano anche scoppiare rivolte sociali, oggi si contano i suicidi tra imprenditori e disoccupati, domani la gente disperata potrebbe rivolgere la sua rabbia contro altri cittadini oltre che contro le istituzioni; una manifestazione di lotta molto dura è stato lo sciopero degli autisti dell’azienda di trasporto “pubblico” di Bologna, ma ci sono l’ILVA, Melfi, il Sulcis, la Bridgestone, le centinaia e centinaia di aziende fallite o sull’orlo del tracollo, il rischio della fine delle risorse per i milioni di cassaintegrati.
Non s’improvvisa una svolta senza una visione e un progetto strategico di società, senza competenze e coraggio, occorre un clima politico del tutto nuovo. I gruppi dirigenti delle forze politiche, anche quelle del M5S devono assumersi la responsabilità di dare un governo al paese, anche breve, ma tale da consentire di prendere alcuni provvedimenti urgenti e indilazionabili: legge elettorale, misure urgenti per la crisi, conflitto d’interesse, finanziamento alla politica.
L’elezione di Laura Boldrini Presidente alla Camera e di Pietro Grasso al Senato, con relativa autoriduzione dello stipendio, sono un primo indicativo segnale di cambiamento, per cui se son rose…..fioriranno.