È degno di attenzione un piccolo fenomeno che sta investendo l’editoria italiana in coincidenza con una fase storica del nostro paese del tutto particolare. Il fenomeno è quello dei romanzi che raccontano i partiti, il loro funzionamento, da una prospettiva interna che sembra voler svelare decenni di riserbi. La fase storica è la fine della seconda repubblica, con l’implosione dei partiti di stampo tradizionale e il dilagare dei movimenti che si oppongono alla politica intesa come pratica di potere e dedizione agli interessi personali.

Così come qualche settimana fa ho parlato de Il cielo è dei potenti, di Alessandra Fiori (edizioni e/o), un potente affresco storico e famigliare che ripercorre le vicende della Democrazia Cristiana dal secondo dopoguerra all’ascesa di Berlusconi, oggi voglio segnalare Il coyote liberò le stelle, opera della giornalista Daniela Brancati, in uscita venerdì 22 marzo per Laurana editore.

Il romanzo è un’immersione senza schermi nei dispositivi che muovono la macchina di un grande partito di sinistra che ricorda molto da vicino il Partito Democratico. Sinistra Unita (l’accorgimento narrativo adoperato dall’autrice dissimula, oltre alla denominazione del partito, anche i nomi dei dirigenti che il lettore, tuttavia, giocando un po’ a scostare la polvere magica del trucco letterario, può agilmente riconoscere) è come tutti i partiti un covo in cui prendono vita rancori, rappresaglie, regolamenti di conti, in cui l’interesse collettivo non è quasi mai la stella polare che guida le scelte, ma a governare è l’ambizione.

In questo contesto si muove la protagonista, Luisa Alunni, funzionaria in odore di nomina a portavoce della segreteria del partito. Nomina che però va incontro alle forche caudine dei veti, delle concorrenze sleali, delle lotte intestine. Del resto la politica, nella pratica, come diceva Henry Adams, “quali che siano le idee che professa, è sempre l’organizzazione sistematica dell’odio”.

Luisa è un personaggio femminile perfettamente in linea coi tempi, una che agli occhi degli altri appare un’insoddisfatta cronica, nonostante sia giovane e già ai vertici del partito, una che dice: “Vorrei poter pensare alla politica come a una grande madre. Invece per me è come mia zia Elvira: mi ha nutrito, cullato, accarezzato, anche sgridato, come una madre. E io l’ho amata molto, ma non sono riuscita a odiarla come un’adolescente odia la madre. Non sono riuscita a entrare in quella profonda intimità, a sentirla veramente mia. Col tempo mi ha dato uno stile di vita e un posto nella società, in cambio di tanta solitudine”.

Ed è sul tentativo di mantenere la purezza che si gioca la grande battaglia di Luisa Alunni; “la gara è fra il coyote e una stella” diceva una vecchia canzone di Lucio Dalla continuamente evocata, non solo nel titolo, in questo romanzo. Restare autentici o abbracciare il cinismo. Una visione manichea della politica che tanto successo riscuote negli ultimi tempi e che sembra destinata a diventare la cifra caratterizzante anche per gli anni a venire.

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