Incarico al presidente del Senato Piero Grasso per un governo autorevole che ottenga un mandato di larghe intese su pochi punti precisi, a cominciare dall’emergenza economica e le riforme? Nel corso dell’ultima giornata di consultazioni al Quirinale l’intenzione possibile di Giorgio Napolitano è cominciata a delinearsi se non altro per eliminazione di tutte le altre ipotesi. Fino a quella di un incarico al segretario del Pd Pierluigi Bersani, il cui volto all’uscita del lungo incontro col capo dello stato nella sala delle regina esprimeva in tutta evidenza l’insoddisfazione per l’allontanarsi della possibilità dell’incarico.

“Bersani è sembrato un pugile suonato”, commentavano nella sede di Largo del Nazareno guardando la diretta in tv. D’altronde, “già la lettera con gli otto punti inviata a tutti i parlamentari per chiedere un’assunzione di responsabilità senza considerare che esistono gruppi e forze politiche pareva un segno di smarrimento”. Non di meno la palla è destinata comunque a tornare nelle mani del Pd e del suo leader che, nel caso in cui Napolitano incarichi il presidente Grasso di realizzare un esecutivo con una larga maggioranza parlamentare, hanno ancora la possibilità di respingere il coinvolgimento al governo col centrodestra dopo la già infelice esperienza Monti. Cosa che per altro il Pd avrebbe già deciso nella direzione del 6 marzo, verso cui Bersani potrebbe cercare appiglio.

In mattinata Beppe Grillo ha domandato per il Movimento 5 Stelle, in quanto primo partito alla Camera (se si conteggiano solo i voti nelle circoscrizioni nazionali), l’onere di esprimere un premier, dicendo no a un governo Bersani, no a un esecutivo guidato da una personalità di alta caratura, no anche a un esecutivo istituzionale guidato ad esempio da Grasso come «foglia di fico». Una presa di posizione che ha fatto tramontare l’ipotesi si una maggioranza col nulla osta del M5S, che nelle ultime ore sembrava potesse essere favorita da alcuni segnali di cambiamento di clima: le elezioni effettivamente a sorpresa di Laura Boldrini e Piero Grasso ai vertici delle Camere, l’iniziativa dei due presidenti nel segno di una moralizzazione della classe politica, non ultimo un endorsement da parte dell’ambasciatore statunitense nei riguardi del M5s che non sembrava solo un’opinione in libertà.

Invece la maggioranza Pd-M5s che sull’onda del mutamento di clima e della pressione dei mercati poteva indurre in tentazione il pur scettico Napolitano si è infranta nel gioco di palazzo dei veti incrociati. Lasciando di fatto in campo come praticabile solo la proposta propugnata da Silvio Berlusconi: un governo istituzionale di larghe intese col consenso portante di Pd e Pdl, oltre a quello accessorio di centristi e Lega, in grado anche di fare da viatico all’elezione al Quirinale di un capo dello stato “condiviso”.

La successione di Napolitano al Colle, infatti, è l’altro snodo cruciale della partita che si sta giocando sul governo. E’ abbastanza evidente che se Napolitano penserà alla base di una maggioranza di larghe intese, questa potrebbe fare anche da viatico all’elezione del nuovo capo dello Stato. Se invece il Pd decidesse di tenere duro e di respingere l’ipotesi di un governo di larghe intese, allora la partita del Quirinale si potrebbe persino aprire in anticipo rispetto a quella della formazione del governo. Nel caso in cui constatasse l’impossibilità di una maggioranza, infatti, in casa Pd si considera l’ipotesi che il capo dello Stato lasci con qualche giorno di anticipo l’incarico in modo da rimettere la partita nelle mani del Parlamento e dei grandi elettori attraverso l’elezione del suo successore, che poi faccia anche da viatico a una maggioranza di governo. Tuttavia pochi credono che Napolitano sarebbe disposto a lasciare in anticipo. Si ritiene invece che obbligherà il Pd a prendere una decisione sul governo di larghe intese. Per quanto Bersani possa essere avverso, in quel caso, dicono al Nazzareno, “il segretario rischia di andare in minoranza, messo all’angolo dai D’Alema e i Franceschini”.

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