Coltivare marijuana a uso personale non è previsto dalla legge come reato. È la sentenza a suo modo rivoluzionaria che giunge dalle aule del tribunale di Ferrara, dove per la prima volta un giudice entra nel merito di un dibattito sempre più vivo sia in dottrina giurisprudenziale che nella società civile. Il caso specifico vedeva imputati due giovani arrestati (e immediatamente rilasciati) dai carabinieri due settimane fa. Da una perquisizione domiciliare vennero alla luce quattro piantine di cannabis e otto grammi si stupefacente.
Durante il rito abbreviato, in sede di arringa difensiva, l’avvocato difensore Carlo Alberto Zaina, del foro di Rimini, ha sollevato una questione di legittimità per quanto concerne l’art. 73 della normativa in materia di stupefacenti, l’arcinota “Fini-Giovanardi”, sulla liceità della coltivazione di stupefacenti. Premesso che per quanto riguarda i due imputati, già in sede di indagini era stata esclusa la detenzione finalizzata alla cessione a terzi. Insomma era chiaro che la produzione di marijuana era destinata esclusivamente all’uso personale.
Il “sospettato di anticostituzionalità” analizzato dall’avvocato Zaina attiene “alla circostanza in cui la legge equipara inopinatamente derivati della cannabis, oppiacei e cocaina”. Esiste infatti una normativa del Consiglio d’Europa che dice in astratto come “non si possono equiparare droghe pesanti e droghe leggere. Urge insomma una differenziazione”. Identica questione di legittimità costituzionale è già stata sollevata dalla Corte d’Appello di Roma e sarà presto al vaglio della Corte Costituzionale.
A sostegno della propria tesi, poi, il legale ha portato all’attenzione del tribunale una decisione del Consiglio d’Europa, la numero 757/gai del 2004, il “testo sacro” a livello comunitario in materia di stupefacenti: “sono punite tutte le condotte – riassume l’avvocato – concernenti gli stupefacenti, salvo quelle che vedono un uso esclusivamente personale, laddove lo Stato ne ammetta l’uso personale, come l’Italia. Tra queste condotte c’è la coltivazione della cannabis. E in questo caso è provato l’uso personale e gli 8 grammi ritrovati in casa degli imputati derivano da questa produzione fai da te”.
“Se teniamo presente che in base alla normativa italiana non viene punito chi acquista da uno spacciatore una dose per uso personale – argomenta Zaina -, ecco che abbiamo anche un risvolto ‘civico’ in aiuto di questa interpretazione: la ratio della normativa è evitare l’uso e il commercio di stupefacenti, in questo caso c’è una conformità allo spirito della legge, visto che si evita di alimentare le mafie. Quindi se la coltivazione è a uso personale non vedo perché punirla”.
Motivazioni che hanno indotto il giudice Franco Attinà a entrare direttamente nel merito. Se chi lo ha preceduto ha infatti sospeso il giudizio di legittimità rinviando la questione alla Corte Costituzionale, Attinà ha assolto direttamente gli imputati perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, creando così un precedente nella letteratura giuridica italiana.