Le risorse rimaste bastano solo per pagare gli stipendi, il fitto e le utenze di aprile. Per salvarsi il partito vuole 'tassare' i parlamentari e tagliare le spese, compresi gli stipendi dei dipendenti (due sarebbero licenziati). Ma senza i contributi pubblici è notte fonda
Quando l’adunata è suonata, ieri i componenti della direzione regionale del Partito democratico pugliese si aspettavano di assistere ad una lunga e complessa riunione convocata per sciogliere il nodo dei burrascosi rapporti con il presidente della Regione Nichi Vendola. Ma a squarciare il velo della silenziosa prassi dell’ascolto, è stato il tesoriere del partito, Pierluigi Balducci. “Che avrà da dire sulla controversia con Vendola” si sono chiesti dubbiosi i democratici seduti composti in platea. “Buonasera a tutti. Vi comunico che in cassa non c’è più un soldo. Il Pd rischia di chiudere”. Poco più di questo. La bomba è sganciata e in sala cala il gelo.
Balducci, non si limita a lanciare l’allarme per poi tornare a sedersi come nulla fosse. Approfitta del momento di attenzione sulla direzione del partito per tracciare un quadro preciso della situazione economica del Pd. “In cassa c’è lo stretto necessario per pagare gli stipendi, il fitto e le utenze del prossimo mese. Poi stop”. Sulle cause ha sorvolato, anche perché non era quella la sede per discuterne. Ma ha proposto di votare seduta stante tre strade che potrebbero arginare il danno: abolire immediatamente i rimborsi per segretario e presidente, tassare – come stabilito dal partito nazionale – i parlamentari con una quota pari a 20 mila euro (30 mila se la legislatura durerà più di due anni; la prudenza non è mai abbastanza nemmeno in certe situazioni) e, colpo di scena, licenziare due dei sei dipendenti passando il contratto dei restanti quattro, da full time a part time.
La platea si scalda. “Non voteremo nulla”, grida qualcuno dal fondo della sala. “Vogliamo prima vedere le carte” dà man forte qualcun altro. Ma Balducci non si scompone, posa il microfono e con molta calma replica che “lo sapevano tutti da luglio dello scorso anno”. E che sia proprio così lo dimostrerebbero due circostanze. La prima è la dichiarazione rilasciata dal deputato democratico Francesco Boccia non più tardi di una settimana fa: “Se il finanziamento pubblico ai partiti sarà abolito, il Pd chiuderà”. La seconda è la relazione di accompagnamento al rendiconto dell’esercizio 2011 approvato dalla direzione regionale proprio a luglio scorso. All’epoca il disavanzo era di 23.121 euro e a valle della relazione redatta dal tesoriere, si legge chiaramente che “in vista della decurtazione del rimborso spese elettorali sarà indispensabile procedere ad una consistente riduzione dei costi del personale e al recupero coattivo dei contributi non versati dai consiglieri regionali”. Quest’ultimo aspetto, infatti, è un’altra spina nel fianco del partito. Gli eletti del parlamentino regionale devono alle casse del Pd qualcosa come 182 mila euro. E questo in parte per il ritardo del pagamento di alcuni, e in parte perché coloro che provengono dalla Provincia di Lecce versano le proprie quote alla Federazione di competenza che, a sua volta, presenta un buco sostanzioso.
Dunque più motivi messi insieme hanno portato al rischio per il Pd di finire in bancarotta mandando per strada i suoi dipendenti. Quando è stato deciso che il contributo elettorale ai partiti dovesse essere dimezzato, aggiunge il tesoriere, “è apparso chiaro che le prospettive erano nere”. “Proposi subito la cassa integrazione in deroga”. Ma la Regione – e la cosa è paradossale perché l’Assessorato competente era proprio in capo al Pd – non concesse gli ammortizzatori in deroga. Perché? “Perché erano finiti i soldi” dice Balducci. “Balle” risponde un veterano tra i reggenti del partito che preferisce l’anonimato. “Qualcuno disse che era molto sconveniente in campagna elettorale mettere in cassa integrazione i dipendenti del Partito democratico. Era un brutto bigliettino da visita non ti pare?”. Ma alla fine la matassa se non si sbroglia, si imbroglia ancor di più. E difatti la situazione è precipitata fino ai licenziamenti. Un modo per uscirne lo si era pure trovato. Ai parlamentari, spiega ancora il custode delle finanze Balducci, fu proposto di farsi carico di tre dei sei dipendenti, prendendoli come portaborse. Ma le risposte, ad oggi, latitano.
E allora? Come uscirne? Se tutti i parlamentari candidati nelle liste di Camera e Senato in posizione utile, versassero i 20 mila euro, “si potrebbe arrancare fino ad agosto e prendere la nuova tranche di contributo pubblico”. Dopodiché se il finanziamento verrà totalmente abolito, si avvieranno le procedure di licenziamento per tutti e sei i dipendenti. Se per contro dovesse rimanere tutto così com’è “bisognerà alleggerire la spesa del personale ma parzialmente, e procedere alla ristrutturazione totale delle finanze del Pd”. E i vertici del partito che dicono a tal proposito? Poche e scarne parole. Il segretario Sergio Blasi fa sapere che “sarà convocata la direzione la prossima settimana, al centro della discussione ci sarà questa questione”. Finalmente.