La notizia è di pochi giorni fa. La Questura di Piacenza ha emesso un foglio di via nei confronti di Aldo Milani, coordinatore nazionale dei Si-Cobas. Per tre anni non potrà più mettere piede sul suolo piacentino. I Si-Cobas sono un piccolo sindacato, radicato soprattutto nel milanese, e gli aggettivi per descriverli potrebbero sprecarsi: settari, massimalisti, estremisti e via dicendo. In sintesi: fuori dal mondo. Eppure, se fossero fuori dal mondo fino in fondo, sarebbero inoffensivi e non ci sarebbe bisogno di alcun provvedimento restrittivo per il loro coordinatore nazionale.

Invece i Si-Cobas hanno animato in questi mesi le lotte dei lavoratori migranti del polo logistico piacentino, arrivate alla ribalta nazionale quando hanno toccato il colosso Ikea. Tutto è partito nell’estate di due anni fa, quando si sono ribellati i facchini della Tnt, dopo anni di salari in nero e diritti negati. E’ stato inaugurato uno schema che poi si sarebbe ripetuto anche negli stabilimenti vicini: blocco dei cancelli, assemblee tenute per strada, incontri tra le parti, momenti di tensione con le forze dell’ordine. Con centinaia di ragazzi arabi decisi a lottare e a non mollare, anche a costo di essere espulsi o di perdere definitivamente il lavoro.

I sindacalisti dei Si-Cobas erano con loro: ogni scelta sul fronte sindacale e della lotta veniva assunta discutendo, talvolta litigando, nelle assemblee dei lavoratori. Capitava pure che la proposta avanzata dai Si-Cobas non convincesse i lavoratori, che venisse bocciata e che poi tutti, sindacato compreso, si adeguassero al nuovo orientamento. E così buona parte dei facchini della logistica piacentina ha cominciato a pronunciare quella parola, “sindacato”, con un significato diverso: non più una cosa astratta, straniera, parte statica dell’esistente, ma per una volta, in un mondo ostile, una parola amica.

Le lotte del polo logistico piacentino mettono insieme il vecchio e il nuovo: i lavoratori migranti sono i proletari in catene, sembrano la reincarnazione di generazioni lontane di operai che, senza nulla in mano, a centinaia o migliaia di chilometri da casa propria, a un certo punto dicono “basta”. Sono gli ultimi che non ci stanno e prendono la parola. E se non gliela concedono, se la conquistano. O, almeno, ci provano.

Allo stesso tempo, il rigore ortodosso della lotta di classe non è sufficiente per capire: ad animare e spingere i ragazzi sono le rivolte arabe, un senso fortissimo della comunità e,magari, la lettura del Corano. Sia come sia, le lotte dei facchini sono vincenti: dopo giorni di lotte, riescono quasi sempre a ottenere una parte dei diritti che erano stati negati. Così avviene anche a Bologna, nella zona dell’Interporto, dove a migliaia hanno aderito ai Si-Cobas. La vertenza piacentina dell’Ikea ha rappresentato uno spartiacque, per alcuni aspetti la rottura dello schema precedente.

Questa volta, le forze dell’ordine non stanno a guardare e manganellano per sciogliere il blocco dei cancelli. A prendere le botte non sono solo i lavoratori, ma i dirigenti dei Si-Cobas, i militanti ed esponenti di Rifondazione Comunista, i ragazzi dei centri sociali. Partono denunce e convocazioni in Questura. Dopo settimane di lotta, scaturita dall’estromissione dei lavoratori sindacalizzati da Ikea e dalle cooperative che lì lavorano, arriva l’accordo tra le parti, anche grazie all’azione dell’Amministrazione comunale.

Ma, evidentemente, questa volta i migranti e i Si-Cobas hanno dato troppo fastidio, e ad un paio di mesi dalla sigla dell’accordo arriva il foglio di via, assieme ad altri provvedimenti per i protagonisti di quella lotta, per Aldo Milani. Un atto che, nel 2013, sembrava inconcepibile. Bisognerebbe capire perché quei lavoratori hanno scelto un sindacato come i Si-Cobas, e non le altre e ben più strutturate organizzazioni sindacali. La risposta non sta nella purezza dell’analisi della crisi del capitalismo o nel richiamo alle storici slogan del movimento operaio da parte dei Si-Cobas; tutte cose che gran parte degli altri sindacati ha messo in soffitta. Sta nelle assemblee, nella possibilità di decidere senza deleghe, nel ritrovarsi, sotto le cariche della polizia, a fianco il tuo sindacalista che sceglie di prenderle con te; in un’idea concreta di lotta che prova a cambiare e che non ha nulla del rito. Tutte cose, anche queste, che gran parte degli altri sindacati ha messo in soffitta. Qui sta il vero problema, altro che foglio di via.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Marijuana, coltivarla a fini personali non è reato. Sentenza storica a Ferrara

next
Articolo Successivo

Bunga Bunga, Iris Berardi torna a sfidare Berlusconi: “Sta per scoppiare la bomba”

next