Ultimamente grazie a una degustazione organizzata a Milano dall’Enoluogo di Civiltà del bere ho avuto modo di assaggiare i vini di Perla del Garda e ne sono rimasto generalmente piacevolmente colpito. L’azienda – partita nel 2006 e condotta da Giovanna Prandini – conta 30 ettari complessivi e produce 120.000 bottiglie, di cui la metà dedicate al vino base, il più fresco e beverino del lotto, ma non il più interessante. Le vigne hanno 20 anni e sono situate in una zona collinare dell’entroterra su terreni calcarei-argillosi che ne esaltano la mineralità.
Le prime sorprese arrivano dalle bollicine: Perla del Garda produce tre versioni tutte coraggiosamente (o inconscientemente?) nel formato magnum, dal design originale. Buono il Lugana in purezza, tutto giocato sulla freschezza e la croccantezza, meno riuscito l’uvaggio Lugana e Chardonnay che ho avuto la sensazione eccedesse nei livelli di solforosa, mentre svetta l’unico Blanc de Blancs: Chardonnay in purezza con una fermentazione di 44 mesi . Un Extra Brut elegante e complesso, bello in bocca e concorrenziale alla vicina Franciacorta. Si porta via con 20 euro in cantina (parliamo sempre di magnum) e mi pare un bel bere.
Tra gli altri assaggi ho trovato molto interessante il Madre Perla, Lugana Doc 2009, bianco complesso e ricco di sfumature con un affinamento pre-imbottigliamento di 17 mesi e niente legno. Ha una spiccata acidità e delle belle note tostate in bocca, ma ci si attende una bella evoluzione (il naso è ancora un po’ timido). Da prendere e dimenticare in cantina, potrebbe dare delle sorprese. Tra gli assaggi anche un esperimento interessante – quanto al limite dell’autoreferenziale – ovvero una vendemmia tardiva, non esattamente il trattamento per cui è noto il Lugana. Un vino che cerca lo sviluppo di muffa nobile e non risulta mai stucchevole nonostante i quasi 40 g/l di residuo zuccherino.