Chi pensava che l’Europa rischiava di finire morta e sepolta con il crac greco si sbagliava di grosso. Potrebbe esplodere in queste ore a Cipro, dove il disegno di legge giunto in tarda serata in Parlamento di fatto commissaria correntisti e cittadini in nome dell’emergenza nazionale. E lascia l’isola da sola a far fronte ad una crisi ormai irreversibile.
I settecentomila cittadini (europei) della Repubblica di Cipro sono disperati: nessun accordo raggiunto con la Russia, Berlino rifiuta il piano B partorito ieri dalle menti governative filomerkeliane, la Turchia minaccia (ancora) ritorsioni sui giacimenti sottomarini senza ammettere di non avere diritto a pretendere nulla, dal momento che dal ’74 occupa abusivamente la parte settentrionale dell’isola. Cos’altro? Lunghe file da questa mattina nei supermercati dell’isola, dove i pochi bancomat che sputano ancora denaro hanno il limite di 260 euro e i benzinai iniziano a fare il pieno solo a chi paga in contanti.
La situazione è al collasso. La cancelliera Merkel durante il discorso sulla nazionalizzazione dei fondi chiude al piano B relativo ai fondi pensione: al ministro delle finanze teutonico Schaeuble non convince per nulla e questo basta per un nein dal sapore definitivo. “Ci vogliono schiacciare” è il titolo maggiormente usato oggi dai quotidiani ciprioti. Nuovo rinvio del voto parlamentare a Nicosia in attesa, non tanto di chiarimenti da Berlino e Mosca, quanto di un vero e proprio miracolo.
Manifestanti protestano dalle prime ore del giorno in Parliament street, con slogan strazianti: “Ridateci i nostri soldi, con quelli potremmo combattere la dittatura dell’Europa” urla un anziano signore con in mano un vecchio registratore da cui provengono le note di una marcia nazionale molto famosa a queste latitudini, perché era intonata nei giorni dell’occupazione turca. Molti sono dipendenti della Laikì Bank, definita bad per poterla chiudere e crearne una “buona”: mossa che però non risolve il buco all’origine, perché si attinge dai fondi pensione (con il rischio di fare il bis del pasticcio greco). Secondo i calcoli la banca è stata chiusa con in cassa depositi per 8 miliardi. Di cui 3 sono degli stranieri e 5 ciprioti. Come dire che chi aveva il malloppo a Cipro ha già messo tutto al sicuro, mentre sono gli isolani a pagare il conto più salato. E restano disoccupati ben 2300 dipendenti.
Intanto alla Camera sono giunte le due proposte di legge di questo “skedio” di emergenza su cui i deputati saranno chiamati ad esprimersi. La prima istituisce un fondo speciale con risorse che provengono da redditi dello Stato per lo sfruttamento degli idrocarburi, delle obbligazioni o titoli. Ma il nodo è che c’è una nota ufficiale della Turchia che non concederà lo spazio marino dinanzi alle proprie coste, anche se è di fatto di proprietà cipriota, perché la fantomatica Repubblica Turca di Cipro Nord è riconosciuta solo da Ankara, ma non dall’Onu né dalla comunità internazionale. La seconda istituisce misure restrittive in materia di commercio in caso di emergenza: significa che si preparano al peggio.
Su raccomandazione del governatore della Banca centrale, è stata impostata la dichiarazione del Ministero delle Finanze da usare nei giorni festivi o speciali (come in caso di fuga o espulsione dall’eurozona), con l’introduzione delle linee guida che regolano i parametri di funzionamento del sistema bancario in caso di emergenza. Il disegno di legge straordinario prevede nel dettaglio: restrizioni al prelievo di contanti; divieto di risoluzione anticipata del deposito; rinegoziazione obbligatoria dei depositi alla scadenza dei termini; divieto o limitazione all’apertura di nuovi conti; conversione dei depositi in conti correnti; divieto o restrizione sulle transazioni senza contanti; restrizioni all’uso di carte di debito, di credito o prepagate; divieto o limitazione nell’incasso di assegni; limitazione delle operazioni interbancarie o transazioni all’interno della stessa istituzione; limitazione sulle transazioni con enti pubblici; restrizioni alla circolazione dei capitali, pagamenti e trasferimenti; e, dulcis in fundo, ogni altra misura restrittiva che il ministro o il governatore riterrà opportuno. Se non è un colpo di stato, poco ci manca.
Intanto al termine del tiratissimo vertice fiume a Mosca si è sfiorata la crisi diplomatica. Per quanto riguarda il prolungamento dei termini del prestito di 2,5 miliardi concesso nel 2011 a Nicosia da Mosca, la Russia “si aspettava una decisione dei creditori internazionali per valutare la partecipazione in una eventuale ristrutturazione di debito”, aveva dichiarato Anton Silouanof alle agenzie di stampa russe, un attimo prima di sedersi accanto al suo omologo cipriota. Che alcuni minuti dopo precisava: “La nostra proposta è la seguente – diceva Sarrys – Una società ad hoc raccoglierà le attività dei giacimenti sottomarini“. Per questo aveva invitato come extrema ratio gli investitori russi a partecipare. Ma dopo la riunione ecco la delusione: “Gli investitori, dopo aver esaminato queste proposte, non hanno manifestato il loro interesse”, ha poi spiegato il ministro delle finanze russo. Spegnendo i sogni ciprioti di essere salvati da uno dei loro partner “coloniali”. Ed alimentando le indiscrezioni secondo cui, se Mosca avesse accettato in cambio della liquidità “salva-Cipro” i diritti per lo sfruttamento del gas sottomarino, si sarebbe aperto un fronte di scontro con la Turchia: cosa che neanche gli americani auspicherebbero.
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