Politica

Marò, l’onore perduto di Terzi e Di Paola

“Patria e Onore”. Chissà se all’ammiraglio Di Paola, mentre rimandava in India Massimiliano Latorre e Salvatore Girone,  saranno venute in mente queste parole che stanno incise sulla facciata dell’Accademia Navale di Livorno. E chissà a quale dei suoi ascendenti avrà pensato Giulio Terzi, marchese di Palazzolo, conte di Restenau, conte del Sacro Romano Impero, barone del S.R.I., cavaliere del S.R.I. e signore di Sant’Agata quando si erse impavido a sfidare gli indiani. Per poi ritirarsi in “disordine e senza speranza”, come scrisse Diaz degli austriaci in fuga sul bollettino della Vittoria del 1918. 

Se dovessimo cercare una metafora dell’Italia contemporanea, dell’Italia corrotta dal berlusconismo e attanagliata da una crisi etica e morale quasi invincibile, la vicenda dei due militari traditi e derisi dal proprio governo è perfetta. Perfetta perché mostra come dietro la retorica dell’italietta c’è il vuoto: di idee, di competenze, di moralità. Due tra i peggiori ministri degli ultimi anni, il roboante Di Paola e il grigio Terzi, sono riusciti a trascinare il Paese in uno dei più tragici disastri diplomatici e di credibilità della nostra storia recente. Senza dimenticare che l’hanno fatto sulla pelle dei due militari che, a prescindere dalle loro responsabilità nella vicenda della Erica Lexie, avrebbero avuto diritto per lo meno a un po’ di coerenza e di linearità da parte del proprio Governo. 

D’altronde tutta la storia, dai prodromi alla sua temporanea conclusione, è un inno all’incompetenza e all’improvvisazione. È cominciata con La Russa quando ordinò l’imbarco dei soldati sulle navi mercantili in mancanza di un quadro giuridico che definisse i loro compiti. È proseguita con l’ordine di far rientrare la nave nelle acque territoriali indiane. È stata affrontata sul piano diplomatico in modo balbettante e nel più totale isolamento internazionale. Un disastro da manuale. 

Con l’aggiunta, altrettanto tragicomica, di una procura militare che indaga i due italici marine per “dispersione di oggetti di armamento”. I morti? Che c’entrano? Il problema vero è che questi due hanno buttato via un bel po’ di proiettili. Addosso a chi siano finiti, non sembra poi così importante. Di questo passo, la Corte dei Conti prima o poi gli chiederà i danni. 

Ancora non si sa chi abbia preso la sciagurata decisione di non far rientrare i soldati, l’imbelle “non possumus” che ora ci siamo rimangiati. L’improvvisa scomparsa dalla scena, dieci giorni fa, di Staffan de Mistura, il sottosegretario che aveva seguito il caso sin dall’inizio, lasciava immaginare che ci fossero seri contrasti. Mentre Monti, imbambolato dallo schiaffone elettorale, sembrava dissolto. Adesso De Mistura è riapparso e a lui stato affidato l’incarico di annunciare l’indietro tutta. Gli impavidi Di Paola e Terzi non se la sono sentita di farlo in prima persona. Armiamoci e partite. Anzi, per coprirsi meglio le spalle hanno coinvolto il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica. Così se c’è da dare la colpa a qualcuno, la possono frantumare fra dieci ministri anziché due soli.

Che cosa possa aver fatto pensare ai due Stanlio & Ollio ministeriali che sarebbero riusciti a farla franca sfidando il Governo e l’opinione pubblica indiani, non si sa. Forse un antico riflesso coloniale, lo stesso per cui pagare tangenti per gli elicotteri Finmeccanica non solo è normale ma è persino ovvio. Che poi l’India abbia le armi nucleari, che sia una delle grandi economie del mondo, che i grandi della Terra facciano la questua alla sua porta per fare affari, questo è probabilmente un dettaglio.

Così i due burloni sono finiti come il Sordi dei “Vitelloni” che spernacchia i lavoratori e finisce per darsela a gambe levate. Ma nemmeno l’italietta di Sordi sarebbe riuscita nell’impresa suprema di mettere il proprio buon nome (qualcuno lo chiama onore) per provare a rifilare una sonora patacca. E anche se il governicchio Monti è alle ultime battute, i due ministri hanno una sola strada possibile: dimettersi. Ora.