Pena di 3 anni e mezzo per estorsione ai componenti del comitato di gestione di una scuola paritaria di una frazione di Villafranca. A processo è finito anche il parroco del paese. Secondo il giudice fu obbligata a lasciare il lavoro altrimenti l'avrebbero licenziata
Costretta a dimettersi. Altrimenti l’avrebbero licenziata e per lei trovare un altro posto di lavoro sarebbe stato ancora più difficile. E’ successo nel giugno 2011 a un’insegnante 42enne della scuola paritaria dell’infanzia “Don Geremia Cordioli” di Rosegaferro, frazione di 1300 anime del Comune di Villafranca, in provincia di Verona. Ma lei ha denunciato tutti i membri del comitato di gestione della scuola (del quale fa parte anche il parroco del paese). Così il giudice per l’udienza preliminare di Verona, Laura Donati, ha condannato tutti a 3 anni e mezzo per estorsione. Tutti gli imputati avevano scelto il rito abbreviato per così usufruire anche di una riduzione di un terzo della pena. Si tratta di Dimitri Busti, 39 anni, William Cordioli, 44 anni, il parroco di Rosegaferro don Loris Laurini, 70 anni, e Maria Teresa Venturelli, 55 anni.
Lo stesso giudice, in attesa di una sentenza del tribunale civile, ha comminato ai condannati l’obbligo di pagare una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 15mila euro, utile a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali alla vittima dell’estorsione. I 4 sono stati anche interdetti dai pubblici uffici per cinque anni.
La sentenza ha superato le richieste del pubblico ministero, Elvira Vitulli, che aveva indicato una pena di 2 anni e otto mesi per tutti. A Busti, Cordioli, Venturelli e don Laurini resta ora la possibilità di ricorrere in appello.
I fatti risalgono al giugno 2011. Secondo la versione dell’insegnante, assistita dall’avvocato Marika Piccoli, la donna fu convocata dal Comitato di gestione intorno alle dieci di sera. Durante il colloquio i membri del comitato sostennero che alcuni genitori degli alunni da lei seguiti si sarebbero lamentati dei metodi di insegnamento. Secondo il loro punto di vista un’incapacità professionale che sarebbe stata giusta causa di licenziamento. Per questo motivo le hanno “consigliato” di dimettersi, altrimenti, nel caso fossero stati costretti a licenziarla, avrebbe fatto più fatica a ricollocarsi.
Quella riunione durò fino all’una di notte e, dopo aver resistito a lungo e ormai allo stremo delle forze, l’insegnante firmò le proprie dimissioni. Non solo scrisse, su richiesta dei membri del comitato, una lettera d’addio alla scuola e ai suoi ragazzi. Nel corso del lungo colloquio, sempre secondo quanto riferito dalla maestra, le sarebbe stato anche impedito di allontanarsi. L’avvocato dei quattro componenti del comitato di Gestione, Stefano Aceto, ha ribadito la mancanza di credibilità della versione fornita dall’insegnante, sostenendo che la lettera di licenziamento determinerebbe l’infondatezza della sua denuncia. Contestazione respinta dall’avvocato della maestra che ha bollato come false le motivazioni di incapacità professionale attribuite dal comitato alla sua cliente, ritenendole una scusa per allontanarla.