Sono arrivati da tutta Italia per chiedere l'abrogazione della famigerata legge del governo Berlusconi: "Se abbiamo lavorato 10 anni in Italia, pagato le tasse, versato i contributi, ma perdiamo il posto per colpa della crisi ci cacciano. Non è giusto"
Sono arrivati a Bologna un po’ da tutta Italia gli oltre 1000 migranti che sono scesi in piazza per chiedere l’abrogazione della Bossi – Fini. Da Padova, Verona, Firenze, Brescia, sono centinaia i lavoratori, padri e madri di famiglia, studenti e precari che stanno marciando tra le vie del centro a Bologna per chiedere che la libertà “non sia più vincolata a una legge sul lavoro”, e che i diritti sociali siano estesi anche a chi, nel Belpaese, “vive ogni giorno pagando le tasse”.
“Questa norma è particolarmente dura in Italia – spiega Giorgio del Coordinamento migranti di Bologna, il collettivo che ha organizzato la manifestazione generale – ma anche in Europa ci sono regole severe per chi viene dall’estero. Qui il problema è che la possibilità di accedere ai servizi, di girare liberamente è legata al lavoro e al reddito. Se lo si perde, ci mandano via”. Senza possibilità di appello. “Se ad esempio una persona ha lavorato 10 anni in Italia – continua Giorgio – poi a causa della crisi viene licenziata, perde tutti i contributi che ha versato, tutti i diritti che ha maturato nel corso della sua permanenza. Se poi sei figlio di immigrati ma sei nato in questo paese, e non hai la cittadinanza italiana, a 18 anni rischi di essere espulso se non trovi un lavoro che ti permetta di rinnovare i documenti per rimanere. Non è giusto”.
Per questo oggi, e da tutta la penisola, sono centinaia le persone giunte nel capoluogo emiliano romagnolo, scelto tra le città d’Italia perché storico teatro della Resistenza, “una delle più celebri lotte per i diritti”, per chiedere “un cambiamento”. “Molti di noi sono nati in questo paese o sono arrivati qui da piccoli e il solo pensiero di andare via verso posti quasi sconosciuti per colpa di un pezzo di carta ci fa rabbia”. Ma fa anche paura, perché “ci sentiremmo di nuovo stranieri nel cambiare terra, patria, nazionalità”.
Il corteo si è radunato in piazza XX Settembre, poi ha sfilato lungo il centro, via Amendola, via dei Mille, via Indipendenza, per passare davanti alla Questura, alla Prefettura e concludere la manifestazione in piazza Nettuno. Una passeggiata simbolica, quella compiuta dai migranti, che si è svolta in concomitanza ad altre due manifestazioni che oggi hanno riempito le piazze di Amsterdam e Berlino per sollevare l’attenzione sul tema – rifugiati. “I due eventi si sono svolti come in gemellaggio – racconta Giorgio – perché i problemi che vivono gli immigrati sono presenti, in misura diversa, in tutta l’Europa”. Nel Belpaese si calcola siano 5 milioni gli extracomunitari, tra regolari e irregolari, “e se questa legge non verrà abrogata, continuerà a incidere pesantemente anche sul mercato del lavoro”.
“In Italia ci sentiamo cittadini di serie C – racconta Monim – mio fratello ha tre bambini e per rinnovare il permesso di soggiorno per la sua famiglia ha speso 1.200 euro. Ma come si fa a vivere se oltre a ciò che è necessario comprare ogni giorno, oltre alle tasse, all’affitto, ci chiedono tutti questi soldi per rinnovare i documenti?”. Anche perché il rinnovo non avviene sempre ogni due anni, a volte la proroga viene concessa di sei mesi in sei mesi e in più, a complicare la vita dei migranti, subentra la burocrazia. “Io ho chiesto il rinnovo per mia moglie – spiega Sami, lavoratore e residente in Italia da anni – però siccome il mio reddito era troppo basso, guadagno 9.000 euro all’anno, mi hanno concesso solo sei mesi. Così tra nemmeno un anno mi chiederanno altri 200 euro, più la marca da bollo”. 200 euro a persona è la cifra media richiesta per il documento, ma per chi è appena arrivato in Italia l’importo da versare è molto più elevato. “Ai nuovi chiedono 1.000 euro – raccontano i migranti – poi però capita che il permesso rimanga imbottigliato in questura e a volte te lo danno che mancano pochi mesi alla scadenza. C’è anche chi ci ha messo otto, nove mesi per averlo”.
“Io in due anni ho dovuto pagare quattro rinnovi – sottolinea Vicav – e sono in Italia da sei anni, ho un contratto a tempo indeterminato e pago regolarmente le tasse. Eppure ci chiedono ancora di sottostare a questo ricatto. Perché se dovessi essere licenziato, e capita a causa della crisi, verrei mandato a casa. Ma quale casa? Io ormai abito qui, non voglio andare via”.
La folla ha sfilato ordinatamente lungo le strade del centro bolognese, e nonostante la pioggia il corteo è stato accompagnato da danze e canti, “perché questa è anche un’occasione di festa – gridano i manifestanti – oggi ci riappropriamo della speranza”.
La speranza che le istituzioni ascoltino il loro appello e sleghino la libertà personale dal lavoro, perché altrimenti “è un ricatto continuo. Lavorare per rimanere qui significa accettare ogni tipo di contratto, di condizione, di stipendio. Significa sfruttamento e paura”. Per questo in testa al corteo c’erano striscioni come “Coop facchinaggio = schiavitù”, in memoria degli scontri che ieri hanno visto i facchini in piazza “contro il caporalato delle cooperative”, e ancora “basta pagare per restare”, “basta sanatorie truffa”. “Vivo e lavoro qui da 17 anni – spiega Rifi – ogni anno mi rinnovano i documenti solo di un anno, sono cresciuto qui, non voglio tornare in Marocco. Nemmeno mi ricordo com’è”.
La Bossi – Fini, però, non è l’unico punto da ridiscutere nell’agenda degli immigrati in Italia. Perché chi viene indicato come irregolare, prima dell’espatrio finisce nei Cie, i centri di identificazione ed espulsione. “Vere prigioni – commentano i manifestanti – costano molto e chi ci finisce rinchiuso vive mesi senza alcun diritto”. Luoghi che hanno fatto discutere per le condizioni subite dagli ‘ospiti’, tanto che a Bologna la struttura è in fase di ristrutturazione. “E’ inutile che facciano i lavori – ribattono però i manifestanti – devono chiudere i Cie. Persino il sindaco Virginio Merola ha detto che sono vergognosi, per di più finirci è una vera lotteria. Uno può aver vissuto regolarmente per anni, poi per qualche problema, spesso burocratico e legato al rinnovo dei documenti, ci finisce dentro senza ovviamente aver commesso alcun reato. Sono strumenti punitivi arbitrari”. “Oggi – continua Giorgio – siamo qui per chiedere un segnale vero. Vogliamo ricominciare a sognare”.