Ci risiamo, un altro Stato è agonizzante e un’altra popolazione è disperata. Il grido è unanime: maledetta Europa, anzi maledetta Ue! Ma come al solito, quanta confusione.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Prima di tutto bisogna fare una bella distinzione concettuale, che tutto è tranne che un mero particolare. Quella che viene chiamata “Ue” (e in questo caso maledetta) ha due anime: una comunitaria e l’altra intergovernativa. Alla prima appartengono il Parlamento europeo (democraticamente eletto a suffragio universale tra tutti i cittadini europei) e la Commissione europea (l’organismo tecnico), alla seconda il Consiglio (Ue ed Europeo) che rappresenta gli interessi dei Paesi membri.
Ma veniamo a Cipro. L’accordo che prevede il famigerato prelievo dai depositi bancari dell’isola (del 6,75% per i depositi fino a 100mila euro e del 9,9 % per quelli superiori) è stato stretto all’Eurogruppo del 15 e 16 marzo, ovvero alla riunione dei ministri delle finanze dei 17 Paesi della zona euro, un incontro che, come l’Ecofin tra tutti i 27 ministri delle finanze, rientra a pieno titolo nella parte intergovernativa dell’Ue. Perché è così importante fare questa distinzione? Semplice: in tutte le riunioni del Consiglio (Eurogruppo compreso) sul tavolo ci sono solo gli interessi nazionali perché i protagonisti assoluti sono gli Stati nazionali, non le istituzioni europee propriamente comunitarie. Ecco che a dettare la linea, oggi del salvataggio di Cipro e ieri di quello della Grecia, sono gli Stati nazionali e in particolare quelli più forti, ovvero la Germania. Finora il risultato è stato che l’intera crisi economica che si è scatenata in Europa (e che banalmente viene chiamata “dell’Euro”) è stata gestita principalmente dagli Stati nazionali che hanno maggior voce in capitolo (hanno più voce in capitolo gli Stati che mettono più soldi nel calderone europeo, quindi ancora una volta la Germania). E, neanche a dirlo, è stata gestita male.
Appare allora evidente che prendersela con “l’Ue” in generale è sbagliato e riduttivo. La parte comunitaria dell’Ue, quella che prende in considerazione gli interessi europei nel loro complesso, è stata finora messa all’angolo da uno sbilanciamento di potere all’interno dell’Ue stessa che premia proprio gli Stati nazionali, rappresentati come detto dal Consiglio. Basti pensare che il Presidente del Parlamento europeo, l’unica istituzione democraticamente eletta dai circa 500 milioni di cittadini europei, non è stato nemmeno invitato a dire la sua alla vigilia del fatidico Consiglio europeo del 28-29 giugno, alla scrittura della lettera con le mosse consigliate per uscire dalla crisi, poi inviata ai capi di Stato e di governo, da parte dei cosiddetti “magici quattro”, ovvero Herman Van Rompuy (presidente del Consiglio europeo), José Manuel Barroso (Commissione europea), Mario Draghi (governatore Bce) e Jean-Claude Juncker (allora presidente dell’Eurogruppo).
Il maldestro accordo su Cipro, così come le folli richieste fatte alla Grecia per ricevere gli aiuti, piuttosto che le regole del nuovo trattato di bilancio europeo (fiscal compact) sono tutti figli di una logica sotto sotto nazionalista dove ogni Paese ha cercato di fare i propri interessi, e ovviamente quelli dei Paesi più forti (Germania) hanno prevalso. Ecco allora che, come nei romanzi di Daniel Pennac, “l’Ue” diventa il capro espiatorio perfetto per tutti i pasticci combinati da 27 governi nazionali incapaci di prendere decisioni davvero di interesse generale e all’insegna di una genuina solidarietà.
Il paradosso è che l’euroscettico medio se la prende con l’Ue tout court e inneggia alla sovranità nazionale, ovvero vuole dare tutto il potere a quegli stessi governi nazionali che si stanno rivelando incapaci di gestire una crisi della portata internazionale come quella attuale. La soluzione, invece, è sì come qualcuno dice “più Europa e non meno Europa”, ma bisogna spiegarsi bene: ci vuole più Europa ma nel senso comunitario del termine, un’Europa dove l’istituzione eletta democraticamente dai cittadini (il Parlamento europeo) abbia più potere di tutte, dove viga il principio della solidarietà sempre e comunque e dove il faro guida siano solo ed esclusivamente gli interessi generali, e non tedeschi, francesi o italiani che siano.
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