Cinema

Outing, un bolognese conquista Roma: “Il mio film senza attori raccomandati”

Il 28 marzo esce in 200 copie distribuite in tutta Italia la commedia diretta da Matteo Vicino. Nel cast Nicolas Vaporidis e Massimo Ghini, e un plot con due giovani creativi che si fingono gay per potere ottenere un fondo regionale d'impresa: "Basta cinepanettoni, m'ispiro a Mario Monicelli e Charlie Kaufman"

di Davide Turrini

200 copie distribuite in tutte le sale italiane, Nicolas Vaporidis come protagonista principale, la regione Puglia come magnifico sfondo e supporto produttivo: ecco Outing l’opera seconda del regista bolognese Matteo Vicino che dal 28 marzo uscirà al cinema in tutta la penisola.

“E’ incredibile, questo è un film italiano dove nessun attore è stato scelto per raccomandazione”, scherza Vicino, classe ’72, già autore del primo lungo Young Europe, tratto dal suo omonimo romanzo, “no davvero, qui non recitano annoiati figli di papà che vengono dal quartiere Parioli”. Casting regolari e concorrenziali per tutti, insomma, perfino per Vaporidis e Massimo Ghini, spalla omosex dei due protagonisti nel film che proprio su una grande finzione di “genere” prende le mosse e sviluppa il plot.

Infatti in Outing, sottotitolo Fidanzati per sbaglio, vanno in scena Riccardo, giovane designer pugliese emigrato a Milano, dove per vivere lavora come commesso, e Federico, playboy spiantato, rimasto in Puglia a fare il giornalista indipendente che non scende a compromessi. Campare però è dura e i due ragazzi partecipano ad un bando della Regione Puglia per valorizzare i giovani talenti. Solo dopo aver dato in pegno la masseria dei genitori, Federico scopre che il bando è riservato alle giovani coppie gay. “L’idea è del produttore Roberto Cipullo (già produttore di Tris di donne e abiti nuziali, n.d.r.)”, spiega ironicamente, “ed è la metafora della mia carriera: i ragazzi del film si fingono gay per avere un lavoro, io ho raccontato qualche bugia per avere finanziamenti produttivi”.

“Apparentemente Outing sembra un cinepanettone ma è una commedia di qualità”, racconta il regista, “Il film deve piacere e deve essere visto, quindi ho creato differenti sottotesti. Capisco che a Roma le commedie devono tutte rifarsi a trame semplificate e dirette, ma oramai dei cinepanettoni, quelli di Neri Parenti, non i capostipiti del genere firmati Vanzina, la gente è stanca: le casalinghe hanno scoperto Internet, al botteghino trionfano film come Quasi Amici”.

Ma per cinema di “qualità” che cosa intendi?

“Un esempio italiano recente su tutti: Diaz di Vicari, ahimé non premiato dal pubblico. E’ l’onda lunga della crisi culturale del paese, 20 anni di televisione commerciale hanno abbassato il livello cognitivo e distrutte le capacità critiche sia del pubblico che dei produttori che non rischiano mai di finanziare qualcosa che non sia immediatamente comprensibile”.

Il cinema italiano ha ancora bisogno dei fondi ministeriali o deve crescere con le sue gambe?

“No comment. Dico solo che il nostro budget è di 2 milioni di euro senza sostegno del ministero. Però un consiglio lo do: agli aspiranti registi e produttori che vogliono presentare un progetto alla commissione suggerisco di spendere gli 800 euro d’iscrizione in altro modo”.

Tu hai lavorato a Bologna come attore sui set di Avati, poi hai sfondato nella produzione che conta, quella romana…

“Torno spesso a Bologna, anche se Roma mi ha accolto e accettato. Certo è che provai ad ottenere anche solo i permessi per girare qualche sequenza per le strade della mia città e la Film Commission di Bologna nemmeno me li diede”.

Consigli a chi vuole intraprendere la carriera di regista?

“Banale dirlo, ma oggi è in atto una rivoluzione incredibile: quella digitale. La Canon 5 D che uso io è indistinguibile dalla macchina da presa con pellicola. Servirebbe qualche agevolazione fiscale in più, meno problemi burocratici per girare in esterni. Così molti talenti rimarrebbero in Italia”.

Qualche soggetto da sviluppare in script (Vicino scrive, gira e monta i suoi film, n.d.r.) per il futuro?

“Sì, la strage di Erba, un paradigma perfetto del nostro paese: il condominio Italia dove ci sono gli immigrati che ‘rompono’ le scatole e i borghesi pulitini e ordinati che covano odio”.

Ispirazioni?

“Mario Monicelli e Charlie Kaufman. Il primo ha girato commedie cattive insuperabili. Il secondo un vero genio che ha avuto la possibilità di girare un film folle, Synecdoche New York, spendendo 40 milioni di dollari e guadagnandone solo due. In America si può”.

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