Stemperate le emozioni che hanno accompagnato la morte di Hugo Chávez, abbiamo provato ad approfondire il rapporto tra il chavismo e le libertà.
Il report pubblicato sul portale di Human Rights Watch è un buon inizio per capire.
“Durante la sua presidenza” – si legge nel dossier – “la concentrazione di potere nell’esecutivo e la contrazione dei diritti umani hanno consentito che il governo censurasse e mettesse sotto processo coloro che criticano il presidente e la sua agenda politica. Chávez e i suoi accoliti hanno ripetutamente abusato del loro potere nei confronti del potere giudiziario, dei mezzi di comunicazione e dei difensori dei diritti umani”.
Certo l’incipit non è incoraggiante per chi pensa che la libertà sia un bene primario. Anche Montesquieu avvertirebbe un diffuso malessere se leggesse le misure adottate nel 2004 dal governo per rendere più agevole la destituzione dei membri dei più alti organi giurisdizionali e per favorire, nel contempo, le nomine di quelli apertamente schierati col Comandante. Elementare la conseguenza: svuotamento della funzione giurisdizionale e svilimento dei controlli sul potere politico.
Il sindaco di Caracas, Antonio Ledezma, avvocato, in tempi recenti ha denunciato la mancanza di separazione tra i poteri dello Stato. Un meticoloso lavorio che tende ad essiccare le radici su cui poggia la pianta della democrazia liberale.
Ne sa qualcosa María Lourdes Afiuni, ex magistrato agli arresti dal dicembre 2009. “Una bandita” proclamò in televisione l’istrionico Comandante, augurandole trent’anni di reclusione nei temibili penitenziari della Repubblica Bolivariana. Ed è lì che è ancora ristretta la Afiuni, assieme alle detenute che lei stessa aveva processato da giudice. Accusata di corruzione per aver concesso la libertà provvisoria, dopo tre anni di carcerazione preventiva, a Eligio Cedeño, banchiere e oppositore di Chávez. Afiuni fu arrestata il 10 dicembre, poche ore dopo la firma del decreto di scarcerazione di Cedeño, fuggito poi a Miami dove ha fatto richiesta di asilo politico.
In verità il banchiere, in prigione per presunta corruzione, era sottoposto a carcerazione preventiva da più di tre anni, oltre il termine massimo di due anni previsto dall’articolo 244 del Codice di procedura penale venezuelano. Ispettori sui diritti umani inviati dalle Nazioni Unite ne avevano sollecitato la scarcerazione per decorrenza dei termini di legge.
La vicenda giudiziaria di Afiuni è un caso internazionale, Amnesty International ha denunciato la dura condizione carceraria cui è sottoposta l’ex giudice e i ritardi nell’istruzione di un giusto processo nei suoi confronti. La storia ha inspirato Francisco Olivares, giornalista e scrittore, che ha pubblicato ‘Afiuni, la presa del Comandante’ (la preda del Comandante). Le minacciose fauci di un lupo occupano l’intera copertina del saggio.
Ancora due annotazioni segnala il report di Human Rights Watch: nella Repubblica Bolivariana si fa largo uso delle pratiche giudiziarie fondate sulla “insubordinazione” e sull’oltraggio alle alte cariche pubbliche. Reati rivisitati durante il chavismo con formulazioni estremamente vaghe, utili per comprimere il raggio d’azione della stampa e dei blogger ed ampliare le maglie della repressione.
Gli attivisti dei diritti umani, afferma in conclusione Human Rights Watch, non sono ben visti in Venezuela. Si registrano accuse di collaborazionismo con gli Stati Uniti, se poi i militanti si ritrovano sotto le insegne di una Ong che riceve un qualche finanziamento estero il rischio aumenta: tradimento della patria è il reato, con pene fino a 15 anni.
Intanto lo scorso settembre il Comandante Chávez, stanco delle ispezioni e dei richiami contenuti nelle sentenze della Corte Interamericana dei Diritti Umani, aveva avviato le pratiche per svincolarsi dagli impegni internazionali.
Non ne sarà rimasto scandalizzato Ahmadinejad, capo dell’Iran, e forse nemmeno i fratelli Castro, condottieri nell’isola di Cuba.
Andrea Lupi e Pierluigi Morena