Al summit in corso in Qatar gli antagonisti di Bashar al Assad sono divisi e hanno due diversi rappresentanti: Moaz al Khatib e Ghassan Hitto, neo primo ministro del governo in esilio. Sullo sfondo le diverse posizioni di Salafiti e Fratelli Musulmani
Due poltrone, due discorsi, due punti di vista differenti. L’opposizione siriana partecipa per la prima volta ad un summit della Lega Araba con due rappresentanti: il dimissionario capo della Syrian national coalition, Moaz al Khatib, e il neo primo ministro del governo in esilio, Ghassan Hitto. Due figure non necessariamente antagoniste ma con posizioni opposte sull’uscita dalla crisi: favorevole al dialogo con il regime di Bashar al Assad il primo, su posizioni intransigenti il secondo.
Ma le ragioni per cui si è arrivati a un’opposizione bicefala non sono in realtà neanche queste. Ben prima che la Lega Araba rendesse nota l’assegnazione del seggio all’opposizione come “legittima” rappresentante dello Stato siriano, le spaccature all’interno dell’enorme apparato, che va sotto il nome di Syrian national coalition, avevano portato settimana scorsa all’elezione di Hitto come premier e poi alle dimissioni di Khatib.
A Doha, in Qatar, in occasione della conferenza che durerà due giorni, si discute ovviamente della delicata situazione che sta attraversando la Siria: l’indebolimento del regime di Damasco (si combatte nel cuore della città), l’uso delle armi chimiche, la gestione degli aiuti umanitari. Non verranno però toccati i nodi politici che stanno di fatto paralizzando la classe dirigente siriana: ovvero l’antagonismo tra Arabia Saudita e Qatar che supportano rispettivamente i Salafiti, fondamentalisti islamici, e i Fratelli Musulmani, su posizioni più moderate. Finora la figura di Khatib, dal profilo non politico e quindi super partes, aveva garantito una sorta di pace tra le due diverse correnti che animano, e soprattutto finanziano, l’opposizione siriana.
Favorevoli al ritorno di un califfato islamico i primi, promotori di uno stato moderno (sul modello della Turchia di Erdogan) i secondi, Salafiti e Fratelli musulmani, finora, hanno fatto gioco di squadra per lottare contro un nemico comune. L’illusione di un’imminente caduta di Assad però sta concretamente accelerando la corsa alle poltrone. Non a caso l’elezione di Hitto spinta da Qatar, Turchia, e Fratelli musulmani non è stata riconosciuta dall’Esercito libero siriano dove gli jihadisti salafiti rappresentano la componente maggioritaria.
In un quadro così opaco, a giocare un ruolo mediano sono gli Stati Uniti che supportano simultaneamente Qatar e Arabia Saudita in una partita dove effettivamente non è mai stato dimostrato un interesse diretto. L’aiuto quindi sarebbe arrivato per vie traverse. Come dimostrerebbero le rivelazioni fatte dal New York Times sullo spostamento massiccio di arsenali bellici, attraverso la Cia, che dall’inizio del 2012 ad oggi avrebbe inviato ben 160 cargo pieni di armi atterrati principalmente in Turchia e diretti ai ribelli siriani. Si tratta però di aiuti scarsamente percepiti come tali dai combattenti, tra i quali dilaga ormai l’antiamericanismo più tradizionale. Una componente minoritaria del fondamentalisti, poi, intenderebbe persino intraprendere una futura lotta contro tutti i non musulmani, compresi i cristiani della Siria. Basti pensare che, secondo il vescovo di Aleppo Antoine Audo, dall’inizio della battaglia, circa 30.000 suoi fedeli avrebbero abbandonato la città. Una fuga che però potrebbe essere dovuta più a ragioni di sicurezza che non a persecuzioni personali.
La Siria è oggi un posto insicuro per tutti, anche per l’ex comandante dell’Esercito siriano libero, Riad al Asaad, ferito gravemente vicino a Deir al Zor, nell’Est del Paese, dove si trovava a combattere. Asaad prima di tornare sul campo di battaglia era rimasto a sua volta incastrato nei giochi politici voluti dai cosiddetti paesi supporter. Dopo aver fondato e guidato l’esercito dei disertori, il 7 dicembre scorso è stato politicamente defenestrato e sostituito col generale Salim Idris. Una decisione che ha accettato senza polemiche. Così come tutti gli altri leader siriani che finora si sono dimessi o sono stati sostituiti forzatamente. A prova del fatto che le rimozioni dagli incarichi di responsabilità, forse, più che un torto vengono vissute come un sollievo.
di Susan Dabbous