Dopo 24 anni la svolta. Una svolta fin troppo scontata per la famiglia, che non ha mai creduto che Donato “Denis Bergamini, il calciatore di Boccaleone di Argenta (Ferrara) morto a 27 anni, si fosse ucciso gettandosi senza motivo sotto un camion. Troppe le stranezze che facevano scricchiolare l’affrettata conclusione, “suicidio”, cui era arrivata la prima inchiesta. Ora, dopo il caso riaperto dalla procura di Castrovillari nel luglio 2011, il procuratore Franco Giacomantonio e il sostituto Maria Grazia Anastasia hanno iscritto i primi nomi sul registro degli indagati per omicidio volontario.
E la nuova verità potrebbe portare sulla pista del movente legato alla vita privata del giovane atleta che allora, nel 1989, militava nelle fila del Cosenza Calcio. A renderlo noto è Francesco Ceniti, firma della Gazzetta dello Sport, che in questi anni ha seguito da vicino, passo dopo passo, le tappe del caso Bergamini.
Ceniti ipotizza anche l’imminente arrivo di misure cautelari “qualora ci fosse un possibile inquinamento delle prove”. Nello specifico, sempre in ipotesi, per evitare “eventuali episodi di minacce nei confronti di alcuni testimoni”. E proprio i testimoni oculari di quello strano, impossibile, suicidio (orologio intatto, nessuna ferita o ematoma, nessuna frattura ossea), potrebbero essere messi in discussione. A non reggere ai riscontri della nuova inchiesta sono le dichiarazioni dell’autista del Fiat Iveco 180 sotto cui si sarebbe gettato Denis sulla statale 106, Raffaele Pisano (tra l’altro incredibilmente ‘resuscitato’ dal nulla), e dell’ex fidanzata del giocatore, Isabella Internò. In base alle loro versioni la prima inchiesta venne archiviata come suicidio e il camionista assolto dall’accusa di omicidio colposo per l’investimento.
A reggere la nuova ipotesi di omicidio volontario a carico di ignoti ci sono anche le nuove perizie disposte dalla procura e affidate ai Ris di Messina sull’auto del calciatore (mai esaminata prima) e l’esame autoptico affidato al professor Testi, che chiarì come Bergamini fosse già morto quando venne schiacciato dalle ruote del camion.
A giorni potrebbero essere svelati i nomi da cui partire per ricostruire, dopo 24 anni, la verità su quanto successe a Roseto Capo Spulico, in provincia di Cosenza, quel 18 novembre del 1989.