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Cipro e Slovenia: sinistri scricchiolii dell’edificio europeo

Quando un sistema è marcio e il suo funzionamento entra in insanabile contraddizione con la realtà basta un nonnulla per farlo crollare. Cipro conta davvero per una parte infinitesima del prodotto lordo europeo, eppure la crisi che si è registrata in quella isola pare un indizio davvero sinistro, anche per la radicalità dei provvedimenti adottati, che paiono aver messo solo una toppa su di un edificio che comincia oramai a scricchiolare da varie parti. E continuerà a farlo fino al crollo definitivo che coinciderà con lo sganciamento degli Stati più ricchi.

Due sono gli elementi che entrano in gioco.

Il primo, l’esposizione dell’isola alle speculazioni finanziarie per il carattere di paradiso fiscale e porto tranquillo per ogni genere di riciclaggio di denaro da essa assunto, a dimostrazione ulteriore del carattere fittizio della “crescita” basata sulla finanza. In una situazione globale caratterizzata sempre di più tra lo squilibrio tra ricchezza virtuale e povertà reale. Basti pensare ai derivati che, come ricorda Massimo Riva sull’Espresso di questa settimana, hanno ormai raggiunto la dimensione di 639 mila miliardi di dollari pari a nove volte il prodotto lordo mondiale.

Il secondo, gli intrinseci elementi di debolezza della costruzione europea, presenti fin dal principio ma aggravati dall’irresponsabile gestione della Merkel degli ultimi anni, che ha visto la connivenza di tutti gli altri e la complicità attiva dei britannici, che all’Europa non hanno mai creduto. Come ho scritto nel mio saggio “Capitalismo finanziario e diritto internazionale: una partita aperta” nel libro “Il diritto contro la crisi” da me curato insieme a Irene Tagliamonte: “La reazione dell’Unione europea alla crisi in atto è indubbiamente condizionata in modo negativo da tre fattori di fondo. In primo luogo il fatto che ne fanno parte Stati a livelli di sviluppo alquanto differenti, in assenza, nonostante l’effettuazione di vari tentativi in questo senso, di concreti risultati da parte delle politiche volte al superamento degli squilibri territoriali. In secondo luogo la sua ispirazione esasperatamente neoliberista. In terzo luogo i limiti delle possibilità di manovra delle istituzioni europee, le quali, pur in presenza di una valuta comune, non possono avvalersi di comuni strumenti di governo dal punto di vista della politica economica e fiscale”. 

E come scrivono Bruno Amoroso e Jesper Jespersen in una delle prefazioni a questo stesso volume. “la moneta unica è divenuta il problema invece di essere la soluzione. La Germania e i suoi Paesi associati hanno un vantaggio competitivo del 30 per cento in termini di costo, che dà alle merci tedesche una posizione dominante a spese dei Paesi dell’Europa del Sud. L’egemonia dei Paesi del Nord Europa è possibile perché i Paesi del Sud sono paralizzati dalla camicia di forza della moneta unica e perciò incapaci di migliorare le capacità produttive delle loro imprese private sui mercati esteri. L’Europa del Sud è chiusa in una trappola di alta disoccupazione e di crescita continua del debito pubblico e estero…Il paradosso è che i Paesi che generano questi squilibri nel sistema economico europeo (Germania) esportando disoccupazione e deficit in altri Paesi minacciano oggi i Paesi più deboli di espulsione dalla “sala da ballo” se non accettano di pensare come i tedeschi e di effettuare tagli draconiani di bilancio”

Se si vuole che l’Europa sopravviva bisogna quindi pensare a drastici ed urgenti correttivi in termini di riequilibrio delle posizioni fra gli Stati che la compongono e di lotta senza quartiere alla speculazione finanziaria.  Parallelamente occorre pensare ad alternative e compensazioni, nei termini  suggeriti da Agamben, sulla Repubblica, di riesumazione dell’Impero Latino di Kojève, o in quelli, propugnati da Luciano Vasapollo ed altri nel libro Il risveglio dei maiali,  che prevede  l’uscita dall’euro dei Paesi dell’Europa mediterranea, articolata nei seguenti quattro “momenti”: a) La determinazione di una nuova moneta comune…all’Europa mediterranea; b) la rideterminazione del debito nella nuova moneta dell’area periferica… relazionata al cambio ufficiale che si stabilisce; c) il rifiuto e azzeramento almeno di una parte consistente del debito, a partire da quello con le banche e le istituzioni finanziarie, e l’imposizione di una rinegoziazione dello stesso residuo; c) la nazionalizzazione delle banche e la stretta regolazione (inclusa la proibizione momentanea) della fuoriuscita dei capitali dall’area stessa”.

Due strade, quella della rifondazione dell’Europa e quella della creazione di spazi alternativi in quella stessa area regionale e ai suoi confini, che convergono in realtà verso di un unico superiore obiettivo: l’affermazione di un’economia ispirata ai bisogni e ai diritti delle persone e dell’ambiente e non agli imperativi dei mercati assetati di profitti monetari.