Come un reperto del passato torna a galla nel Pacifico la retorica della Guerra fredda, con tutto l’armamentario – bellico e immaginifico – dello scontro atomico. La Corea del Nord minaccia di colpire con i suoi missili le Hawaii e Guam, isole “militari” americane. Le truppe di Pyongyang sono state messe in allerta per il conflitto contro gli Stati Uniti, alleato del Sud che proprio 50 anni fa respinsero l’invasione del Nord comunista e crearono il più longevo degli stalli bellici planetari.
Da mezzo secolo Nord e Sud si guardano in cagnesco attraverso il Muro eretto lungo il 38° parallelo che divide due concezioni del mondo per come era venuto plasmandosi dopo la Seconda guerra mondiale. Kim Jong-un, il 30enne leader della Repubblica popolare, terzo della stirpe comunista che regge il paese più povero, e rigido, dell’Asia dal dopoguerra. I nemici giurati della Corea del Nord: SudCorea, Giappone e Stati Uniti, tornano a essere minacciati ancora un volta di bombardamento con i missili sviluppati in questi decenni con tecnologia – anche nucleare – cinese. Ma Pechino sponsor militare (e munifico salvatore della disastrata economia nordcoreana) non è favorevole all’escalation che mette a repentaglio la sua immagine e il suo ruolo di potenza continentale. Il rischio, solo potenziale, è che Kim III voglia ergersi a cane sciolto del (dis)ordine mondiale e immolare il suo paese.
Molto più probabile che l’ennesima prova di forza si risolva con una maggiore fornitura di aiuti (anche occidentali) all’ultimo baluardo comunista integralista da decenni sull’orlo di un collasso economico-sociale.