Papa Francesco ha iniziato il suo pontificato nel millesettecentesimo anniversario dell’Editto di Milano del 313, grazie al quale i due Imperatori d’Occidente e d’Oriente, Costantino e Licinio regalarono al vescovo di Roma del tempo, Papa Silvestro I, un pezzo consistente dei loro territori imperiali. Cediamo – si legge nell’Editto – “Il nostro Palazzo e tutte le Province, palazzi e distretti della città di Roma e dell’Italia e delle regioni occidentali”. Sull’autenticità di quel documento ci sono più dubbi che certezze, ma è certo che il convertito Costantino offrì alla Chiesa molto potere e tanta ricchezza, ufficialmente per consentirle il libero esercizio del culto nei territori italiani, di fatto per fondere in un unico potere imperiale il Trono e l’Altare. “Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre”, imprecò Dante dalla quarta bolgia dei simoniaci, attribuendo a quel patto scellerato la radice e la responsabilità dei tanti peccati di cui la Chiesa si andava macchiando.
Iniziando il suo pontificato a 1700 anni da quel “mal”, che ancora persiste in forme più modernamente diffuse, il gesuita Bergoglio avrebbe potuto scegliere il nome del suo fondatore, Ignazio. Invece, inaspettatamente ha scelto Francesco d’Assisi, il cui spirito è l’esatto contrario dello spirito “guerriero” che Ignazio di Lojola ha voluto imprimere alla sua Compagnia. Nella drammatica situazione in cui ha trovato la Chiesa di Roma proprio a causa di quel “mal” che è il Potere Temporale, e della conseguente sua crescente insignificanza spirituale, Bergoglio certamente ha dato un segnale eloquente della svolta che vuole imprimere al suo pontificato per “ricostruire” la Chiesa del terzo millennio, così come Francesco aveva chiesto al Papa del suo tempo. Francesco fu sconfitto, e per Papa Francesco sarà smisurata la guerra che lo attende, proprio perché smisurata e modernamente diffusa è stata la dilatazione di quel “mal” lungo i secoli.
Dopo la lunga stagione dello Stato Pontificio e dopo la provvidenziale sconfitta di Porta Pia, venne in soccorso della Chiesa “l’uomo della Provvidenza” riconosciuto nella persona di Benito Mussolini prima e di Bettino Craxi dopo. Il Concordato del 1939 stipulato dal regime fascista e la successiva revisione craxiana del 1984, restituivano alla Chiesa, con tante scuse, sovranità territoriale, indipendenza, donazioni risarcitorie, privilegi economici e agevolazioni fiscali. Come se questo non fosse bastato, nell’Italia della prima e seconda Repubblica i vari governi succedutisi, di centrodestra e di centrosinistra, per guadagnarsi la benevolenza cattolica e papale, hanno gareggiato a chi offriva di più in ulteriori benefici finanziari ed edilizi, concessioni, ed esenzioni. Senza contare le leggi che, prima di rispondere ai diritti dei cittadini e all’affermazione della laicità dello Stato, erano subalterne alla dottrina della Chiesa cattolica sui cosiddetti valori non negoziabili in fatto di etica, bioetica e morale sessuale. Ancora un ritorno strisciante a una nuova forma più sofisticata di Stato Pontificio che hanno fatto della Chiesa uno dei forti poteri nel Paese, potendo godere di solide strutture istituzionali, di un incalcolabile patrimonio immobiliare e finanziario accumulato nel tempo, e di una presenza massiccia sui media. A tanta innegabile ricchezza sono da aggiungere le smisurate elargizioni finanziarie che lo Stato, per legge, assegna ogni anno alla Chiesa: qualcosa come 7 miliardi di euro, tra ottopermille, stipendi agli insegnanti di religione nelle scuole statali di ogni ordine e grado (comprese le scuole materne), ai cappellani dell’esercito, della Polizia, degli ospedali, delle carceri e dei cimiteri; finanziamenti statali e regionali alle scuole private cattoliche, agli oratori parrocchiali; contributi statali, regionali e comunali all’edilizia di culto. Difficile, inoltre, conteggiare tutti i contributi discrezionali che le varie amministrazioni pubbliche si inventano per guadagnarsi la benevolenza della gerarchia. Il presidente della Regione Lazio, Storace, si inventò di nominare un “Cappellano di Giunta” per 12 mila euro all’anno, che il successore, Marrazzo, elevò a 25 mila, e la Polverini confermò con l’aggiunta di buoni pasto quotidiani per il reverendo Cappellano. Duemila euro al mese per un paio di Messe a settimana in Regione, 200 mila euro da Storace ad oggi.
Un altro capitolo narra la presenza della Chiesa cattolica nei media e particolarmente nei programmi di radio e TV della Rai e nelle emittenti commerciali come Mediaset, La7 e altre minori. La Rai ha creato e mantiene una struttura (“Rai Vaticano”, attiva 24h su 24) controllata dalla Cei, subordinata alla programmazione del Centro Televisivo Vaticano ed esclusivamente dedicata alla Chiesa, alle sue iniziative, ai suoi eventi, alla sua evangelizzazione via etere. I palinsesti sono affollati di rubriche religiose fisse: “A Sua immagine”, “Le ragioni della speranza”, “Sulle vie di Damasco”, “Cristianità”, “Uomini e Profeti”, “Oggi duemila”, “La Bibbia notte e giorno”, “Ascolta si fa sera”. Incalcolabili, poi, le ore di trasmissioni dedicate a Sante Messe, Angelus, Via Crucis, cerimonie pontificie, liturgie della Settimana Santa, udienze papali, benedizioni Urbi et Orbi. Senza contare la copiosa presenza quasi quotidiana del Papa nei Tg, anche senza notizia, e la partecipazione ai vari talk show di ecclesiastici solo se graditi alla Cei. Non sono da meno le fiction di vite di santi, beati, preti, suore, fondatori, fondatrici, eroi ed eroine. Fuori conteggio le puntate-eventi per Padre Pio di Vespa e Giletti. Questa ingente copertura del servizio radiotelevisivo pubblico e commerciale permette alla Chiesa di essere presente in tutto il territorio nazionale ed oltre.
C’è poi l’altra mole di mezzi di comunicazione di proprietà della Chiesa in tutto il territorio nazionale: una Tv nazionale, (“TV2000”), 300 emittenti radiofoniche e televisive di proprietà delle diocesi, 3 quotidiani cartacei e un centinaio online, 180 settimanali diocesani finanziati dallo Stato italiano, un migliaio di riviste nazionali e locali, oltre 200 case editrici e 350 librerie.
A tanta ricchezza di mezzi si è sempre accompagnata una pari ricchezza spirituale, culturale e di promozione umana, che la Chiesa ha potuto generosamente offrire al Paese. Bergoglio ha scelto subito di privilegiare questa immagine di Chiesa col nome e con il volto povero di Francesco. Ma si troverà davanti anche l’altra faccia della Chiesa, quella del potere temporale che dovrà rappresentare e governare indossando contemporaneamente il “saio francescano” e il triregno del sovrano. Dopo i primi gesti diretti e cordiali, insieme alle parole di tenerezza saprà abbandonare il ruolo di inquisitore e castigatore inflessibile come fu Ratzinger nei confronti di preti, vescovi, suore, teologi che, fedeli al vangelo, frequentavano le strade del mondo anziché i recinti del tempio? Saprà riconoscere gli errori della Chiesa, sui temi sensibili della bioetica, della contraccezione della morale sessuale? Saprà riparare le sofferenze inflitte ai divorziati risposati, ai gay, alle donne, ai preti che amano una donna? Saprà chiedere perdono a Giordano Bruno e alle migliaia di donne che la sua Chiesa ha mandato al rogo? Magari senza aspettare i 500 anni presi per riabilitare Galileo. Saprà abolire l’ormai insignificante struttura dottrinaria delle indulgenze plenarie e parziali? E già che c’è saprà smantellare il sistema dell’indulgenza nei confronti dei preti pedofili e di quanti li hanno colpevolmente coperti? E, se gli resta un minuto, saprà dare un’occhiata allo IOR e al patrimonio immobiliare e spogliarsene subito come Francesco?
Caro Papa, ci hai commossi con i tuoi “buona sera”, “buon pranzo” e i tuoi abbracci ai deboli e al popolo. Ora ti aspettiamo all’appuntamento con la custodia e la tenerezza.
Ciao, buona avventura.