Sulla società controllata dall'Eni, che in attesa anche degli sviluppi sul fronte algerino nove è indagato l'ad del cane a sei zampe Paolo Scaroni, grava anche l'ipotesi di una multa da 900mila euro
In attesa di sviluppi sul caldissimo fronte algerino, Saipem è tornata alla sbarra al Tribunale di Milano per il processo che la vede imputata per il pagamento di una tangente in Nigeria relativa alla costruzione di un impianto di liquefazione di gas nell’area di Bonny Island. Una storia che origina nel 1994 e che vede la ex Snamprogetti (ora Saipem) consorziata nella società Tskj alla francese Technip, all’americana Kbr e alla giapponese Jgc per costruire un impianto del valore di 6 miliardi di euro. “Cifra enorme per quei tempi in Nigeria, se si conta che nel 1995 il Pil dello stato africano era di 30 miliardi di euro”, ha ricordato il pm Fabio De Pasquale quando ha preso parola.
De Pasquale e Sergio Spadaro hanno quindi chiesto la confisca di 24,53 milioni di euro circa oltre al pagamento di 900mila euro di multa ai sensi della legge 231 del 2001, che riguarda la responsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti commessi dai proprio vertici. Si tratta dell’ultimo tentativo di portare a condanna Saipem per i fatti nigeriani. Il procedimento che vedeva imputati i manager della società italiana (tra di questi non c’era l’ex a.d. Pietro Tali) che, in combutta con quelli delle altre società del consorzio, avrebbero messo in piedi questo schema corruttivo, si è chiuso infatti nell’aprile del 2012 per la prescrizione dei reati nonostante il tentativo dell’accusa di evitare le secche normative introdotte dalla ex Cirielli. Eventualità, questa, che ricorre anche in questo troncone del procedimento e che dovrà sciogliere il collegio guidato dal giudice Oscar Magi dopo aver sentito le difese nella prossima udienza, prevista nella seconda metà di maggio.
Si gioca infatti sul filo di lana della prescrizione anche questo troncone del procedimento nigeriano, e questo sarà uno degli argomenti che il collegio difensivo guidato dall’avvocato Angelo Giarda metterà in campo nella sua arringa. “L’atto interruttivo della prescrizione è arrivato il 28 luglio del 2009 mentre l’ultimo pagamento di una somma di denaro indicata come tangente dai pm è del 15 giugno del 2004, ovvero oltre i 5 anni che prescrive la norma in questo caso. E il fascicolo è in procura dal 2004”. I pm hanno cercato di uscire dai paletti di queste date parlando di pochi giorni di differenza su un contratto della durata di 10 anni che avrebbe fruttato a tre ex capi di Stato nigeriani – i generali Sani Abacha e Abdulsalami Abubakar oltre a Olusegun Obasanjo – e a una pletora funzionari ben 187 milioni di euro di tangenti, nonché di una “teoria dell’ultimo termine conosciuto” che la corte dovrebbe superare al fine di non far naufragare tutti gli sforzi investigativi e la prudenza che la Procura ha avuto nell’impostare e portare avanti il procedimento. De Pasquale ha sottolineato l’importanza di questo dibattimento di corruzione internazionale: “in Italia si contano sulle dita di una mano ma sono destinati a crescere nei prossimi anni, anche alla luce di fatti quali quelli riguardanti Finmeccanica”.
La difesa, che ha incassato il rigetto di una eccezione di illegittimità incostituzionale, dovrebbe spingere anche sull’incertezza del luogo nel quale è avvenuto il reato, che si suppone consumato anche a Milano, oltre che sulla mancata giurisdizione italiana perché la società che effettivamente avrebbe commesso l’illecito amministrativo è la Snamprogetti Bv, di diritto olandese. Una condanna per Saipem avrebbe certamente una certa rilevanza anche per il procedimento algerino, che vede indagato anche l’ad di Eni, Paolo Scaroni e che, si ricorderà, ha portato alla cacciata dell’ex amministratore di Saipem Pietro Franco Tali oltre che del direttore generale della divisione Engineering and construction Pietro Varone e dell’ex direttore finanziario di Eni Alessandro Bernini. Provvedimenti interni cui è seguita, a fine gennaio, una revisione corposa degli obiettivi finanziari per il 2013 che hanno portato al crollo del titolo superiore al 30% in una sola seduta borsistica.
Da ricordare che per lo scandalo nigeriano, nato da un’indagine francese sulla Technip che si è allargata anche in Nigeria oltre che negli Usa, il gruppo Eni ha pagato negli Stati Uniti totale di 365 milioni di dollari come patteggiamento per l’indagine in loco nata dal coinvolgimento della Kbr, che faceva parte del consorzio di Bonny Island. Lo schema corruttivo, che transitava per il paradiso fiscale offshore portoghese di Madeira, vedeva coinvolte una serie di società veicolo figlie di Tskj e le società Tri Star e Marubeni, che avrebbero fintamente venduto servizi ai 4 giganti dell’engineering per mettere insieme la provvista da girare poi ai vertici nigeriani. implicata anche la Nnpc, l’azienda di stato nigeriana del petrolio, e la sua controllata Nlng, che si occupa di gas e nel cui capitale era presente anche l’Agip. Un intreccio di interessi che per l’Eni non si fermava, quindi, solo all’attività di costruzione di Saipem.