La lunga crisi economica scoppiata nel 2008 e che imperversa a livello globale, ma di cui non si vede la fine, ha così prodotto una situazione che ha dell’incredibile: si calcola che l’1% della popolazione possiede il 90% delle ricchezze. Un problema non da poco, che ha risvolti preoccupanti dal punto di vista etico, politico e sociale.
Quasi in contemporanea sono usciti due libri che ne trattano da opposti punti di vista. Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l’economia, lo osserva da liberista nel suo bestseller Il prezzo della disuguaglianza (Einaudi); Zygmunt Bauman, da sociologo, in una fulminante analisi dal titolo provocatorio, “La ricchezza di pochi avvantaggia tutti” Falso! (Laterza). Se Stiglitz appare disorientato dall’inattesa concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, tanto da tornare sull’argomento anche nel suo intervento sull’ultimo numero di Micromega, Bauman mantiene il tono di saggio osservatore dei fatti che confermano il crescente disagio di una modernità liquida, sempre meno a misura d’uomo.
È sorprendente come entrambi giungano alle stesse conclusioni, pur partendo da posizioni diverse. Il sociologo vi legge l’esasperazione delle differenze sociali, l’ingiustizia di un sistema, l’assenza di solidarietà, il fallimento del welfare. L’economista liberista si preoccupa della sproporzione eccessiva che squilibra l’assetto economico della concorrenza nel mercato globale. L’eccessiva concentrazione rischia di far saltare il sistema, perché non più in grado di offrire a tutti le medesime opportunità.
Bisogna correre ai ripari: non tanto per ragioni morali e sociali, come afferma Bauman, quanto per motivi economici. È necessario ridistribuire la ricchezza. Da secoli si parla di togliere ai ricchi per dare ai poveri. Ma su come farlo, da San Francesco a Marx, la discussione è ancora aperta.