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Dal modello cipriota alla crisi italiota

“Nel nostro Paese la forma più comune di imprudenza è quella di ridere, ritenendole assurde, delle cose che poi avverranno”. Di tutti gli aforismi di Ennio Flaiano è forse il più spaventoso e anche, disgraziatamente, il più vero. Ogni ipotesi “assurda” genera palpitazioni: e se poi succede davvero?

Così è meglio non immaginare scenari “assurdi” di cui ridere e di cui poi, un giorno, potremo ritrovarci a piangere. La crisi di Cipro – e la sua soluzione temporanea – è un buon esempio. Vero che qui le manine sui conti correnti fecero già il loro sporco lavoro (1992, governo Amato), ma vero che anche solo immaginare la Troika che ti frega il 40 per cento dei risparmi di una vita per salvare le banche e una finanza da farabutti fa tremare le vene ai polsi. Dunque – se non altro per scaramanzia “flaianesca”, meglio non immaginare “modelli ciprioti” per l’Europa, come si è lasciato scappare Jeroen Dijsselbloem, il presidente dell’Eurogruppo. Un genio che con poche paroline dal sen fuggite ha bruciato alcune decine di miliardi di euro in tutto il continente. Anche spingersi al paradosso, può sembrare rischioso. Va bene, la Troika che ti citofona di notte e ti frega l’argenteria. La Troika che chiede in ostaggio i primogeniti, o le figlie vergini. La Troika che ti riga la macchina, eccetera, eccetera.

Esagerate fin che volete: l’allegoria, il paradosso, sono elementi-base della satira e ci si può anche fare una risata consolatoria. Poi, dopo, quando si legge che le grandi case farmaceutiche non forniscono medicinali alla Grecia perché non ci guadagnano abbastanza, il sorriso del paradosso sparisce, e nessuna risata seppellisce più nessuno, dato che presto ci sarà altro da seppellire (i malati greci, per esempio).

Naturalmente, la rapina del vicino è sempre più verde. E così siamo di fronte a un paese (noi) che prova sgomento per la situazione di Cipro e sembra curarsi pochissimo della propria. Perché qui, anche se non con l’esproprio sui conti correnti, la grande rapina c’è già stata, ed è tuttora in corso.

Basta leggere, ripreso da pochissimi giornali, lo studio della Commissione europea sui tagli alla scuola, che parla diffusamente delle attenzioni che il duo diabolico Tremonti-Gelmini ha riservato alla scuola pubblica italiana. Tra il 2008 e il 2012 otto miliardi e passa di tagli alla scuola, un miliardo e passa all’Università. Quasi centomila cattedre in meno dalle materne alle superiori. E mentre in Germania il numero degli insegnanti aumentava del 13 per cento (non vi dico nemmeno del 12,9 della Finlandia e del 21,9 della Svezia), qui calava dell’undici per cento. Soldi “risparmiati” che finivano a ingrassare la ridicola “italianità” di Alitalia (oggi di nuovo in ginocchio) o altri arguti pasticci del buon governo berlusconiano, con Tremonti – poveretto – alla regia, e la sciura Gelmini a fare il braccio armato parlando di “merito”.

Ecco: il merito di aver fregato alla scuola pubblica 10 miliardi (cioè il doppio di quanto Cipro fregherà ai correntisti per salvarsi) sembra dimenticato, sottotraccia, accettato come un doveroso sacrificio. Soltanto la superficialità di pensare che i soldi pubblici, spesi per la comunità, non siano “soldi nostri” come quelli che abbiamo in banca ci fa digerire la rapina. Ed è una ben grave forma di cecità. Poi, naturalmente, il fatto di essere già stati ampiamente rapinati non esclude nuove rapine. Perché, come diceva Henry Kissinger, “Essere paranoico non esclude che qualcuno ce l’abbia con te”.

@AlRobecchi

Il Fatto Quotidiano, 27 Marzo 2013