E se dovessimo tenerci Monti ancora per almeno un anno? Il governo Bersani probabilmente non vedrà mai la luce, nonostante la tenacia con cui il segretario Pd tenterà fino all’ultimo di riuscire a trovare dei numeri che, invece, non ci sono. Dunque, il suo è un tentativo destinato al fallimento, ma anche quello di un ‘governo del presidente’ o ‘governo di scopo’ – strada che si potrebbe aprire già dalla prossima settimana sotto la regia del Quirinale – appare tutta in salita. E la ragione è politica, non solo tecnica. Dopo la possibile debacle bersaniana, difficilmente il Pd potrà concepire di essere chiamato a sostenere un governo diverso da quello Monti (ma con caratteristiche simili) insieme con il Pdl; alle prossime elezioni (che potrebbero esserci davvero a breve), l’elettorato democratico non perdonerebbe a Bersani di aver stretto patti con Berlusconi pur di non andare alle urne. E sembra anche impossibile che Napolitano accetti l’idea di far nascere un governo formato da Pdl, Lega e Monti, perché questo non solo sovvertirebbe il risultato elettorale, ma non avrebbe la maggioranza alla Camera.
Insomma, la via d’uscita potrebbe essere un governo a guida grillina, ma anche qui, con quale maggioranza? Perché il Pd, il Pdl e la Lega dovrebbero sostenere un esecutivo guidato da un componente dei cinquestelle (di sicuro non Grillo e neppure Casaleggio, ma probabilmente Crimi), quando questi si sono dichiarati indisponibili a sostenere qualsivoglia esecutivo che non fosse il loro? Difficile, dunque, che Napolitano prenda in considerazione anche questa possibilità. E’ più probabile, invece, che decida di dare un mandato esplorativo a Pietro Grasso, ma solo per arrivare a ridosso del 15 aprile, quando le Camere dovranno riunirsi per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Solo dopo quest’elezione (che non appare per altro semplice perché comunque al centrosinistra mancherebbero alcuni voti – nove in tutto – per poter arrivare a scegliere un nome senza sottostare al ricatto di Berlusconi), si potrebbe ricominciare a guardare alle due ipotesi sul campo: elezioni subito o elezioni ad ottobre. Un’altra via d’uscita, oltre le urne, non sembra esserci.
E’ noto che nessuna forza politica, neanche il Pdl che in questi giorni orbita su sondaggi molto favorevoli, oltre il 31%, vuole il voto anticipato. Soprattutto, nessuno sembra favorevole a tornare alle urne con questa legge elettorale. Ecco, però, che il prossimo Capo dello Stato potrebbe chiedere al Parlamento – che è comunque pienamente legittimato a muoversi – di uscire dall’attuale pantano determinato dal Porcellum con una nuova legge elettorale. Senza la quale – questa potrebbe essere la ‘minaccia’ – si potrebbe rifiutare di sciogliere le Camere, in quanto si determinerebbe comunque una situazione simile a quella di adesso, ovvero una sostanziale ingovernabilità.
E il governo? Ci troveremmo in una situazione simile a quella belga? Assolutamente no. Perché l’Italia un governo ce l’ha. Ed è anche un governo che fino ad oggi ha garantito il Paese sul fronte europeo. E che, malgrado la clamorosa scivolata con i Marò, ha goduto e continua a godere di stima internazionale. Certo, Monti è stato pesantemente punito dal risultato elettorale, ma fino a quando non si dovesse trovare un nuovo governo, lui avrà l’obbligo di restare al suo posto. Anche fino ad ottobre, se necessario.
Chiarito l’aspetto politico (e anche procedurale), è necessario domandarsi se un governo dimissionario (come è comunque oggi il governo Monti) abbia tutti i poteri di un esecutivo nel pieno del suo mandato, oppure se questi siano limitati. Quando il presidente Monti è salito al Quirinale per rassegnare le dimissioni, il Presidente della Repubblica “ha preso atto delle dimissioni e ha invitato il Governo a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti”. Ma cosa sono esattamente gli “affari correnti”? Non esiste una definizione normativa, né alcuna norma prevede espressamente che il governo dimissionario debba limitarsi agli affari correnti. L’espressione, dunque, è il frutto di una prassi costituzionale, di cui però la dottrina costituzionalistica non offre una ricostruzione univoca. Alcuni autori offrono una lettura fortemente restrittiva, parlando di “organo straordinario” o di organo “meramente amministrativo”, e non più politico. L’opinione prevalente, tuttavia, è che la natura del governo non muti e che la restrizione dei poteri derivi dalla prassi e dalla correttezza costituzionale. Come notano alcuni, poi, l’intensità della limitazione varia caso per caso, a seconda che il Governo sia stato espressamente sfiduciato in Parlamento (e che, dunque, sia stato accertato il venir meno di una maggioranza parlamentare), oppure che si sia spontaneamente dimesso (come è avvenuto per il Governo Monti). La questione “lasciare Monti al suo posto finché serve”, in verità, è stata oggetto di attenta valutazione anche da parte del Quirinale, che tra l’altro non ha gradito per niente la scivolata del governo sulla ‘questione marò’ e ha convocato Monti dopo le dimissioni di Terzi. Certo, il Colle avrebbe sicuramente preferito un altro epilogo del post voto, ma la causa dell’empasse politico stavolta sembra veramente inestricabile. Almeno finchè rimane il Porcellum.