Il virus Guanarito non è molto conosciuto. Non solo presso il pubblico dei lettori medi di quotidiani, penso che anche molti cultori della materia lo ignorano, e farebbero fatica a dimostrare una conoscenza in merito.
Questo virus fa parte di un genere, gli Arenavirus, che da luogo a forme che clinicamente si manifestano con emorragie sistemiche, che cioè si possono verificare in diversi organi ed apparati con conseguenze tanto gravi, che possono uccidere i malcapitati che si infettano. Appartengono allo stesso genere il virus Junin, il virus Lassa, Il Lujo, il Machupo, il Sabia ed il Whitewater Arroyo virus. Questi sono tutti virus che condividono la stessa caratteristica clinica di provocare emorragie sistemiche, di poter essere letali, e di essere trasmessi da roditori, che fungono da reservoir del virus. In pratica ciascun virus riconosce una particolare specie di roditore, che funge da serbatoio e che nella maggior parte dei casi insiste in una particolare area geografica, delimitando in tale maniera il territorio in cui può capitare quella precisa malattia.
Nel caso del Guanarito, che provoca la febbre emorragica venezuelana, il roditore che rappresenta il serbatoio della malattia è lo short-tailed cane mouse, che si trova nella parte occidentale del paese e predilige l’ambiente costituito dai campi anche coltivati dove cresce erba alta in abbondanza. Questo virus è stato protagonista di un episodio abbastanza spiacevole, per non dire preoccupante, di cui la stampa americana ha dato molto recentemente notizia. Una provetta contenente materiale relativo al virus Guanarito è scomparsa dal Laboratorio di Alta Sicurezza di livello BSL4, il massimo, dell’Università del Texas a Galveston.
Il livello di contenimento del virus HIV ad esempio è inferiore: BSL3. Un’ispezione condotta come di routine in questo laboratorio il 20 e 21 di questo mese ha messo in luce questa mancanza. I responsabili del laboratorio hanno riconosciuto che la scomparsa della provetta rappresenta un “fatto serio”. Le prime illazioni riguardo all’accaduto però non fanno cenno ad un’eventuale sottrazione del materiale a fini loschi. Appuntano invece l’attenzione sull’ipotesi ritenuta al momento di gran lunga la più probabile: quella di un mero e fortuito errore umano. La provetta potrebbe essersi rotta, rimasta appesa ad un guanto o semplicemente caduta sul pavimento: “..the vial could have gotten stuck to a glove or finger and merely fallen on the floor…”. Così ha dichiarato lo Scientific Director del Laboratorio Dr. Scott Weaver.
Però aggiunge, atteso che non vi è alcun pericolo per la popolazione americana, in quanto le procedure di pulizia e di igienizzazione del laboratorio stesso conducono al pieno smaltimento in condizioni di massima sicurezza di tutti i materiali di lavorazione, le ricerche non falliranno di identificare l’autore o gli autori di questo pericoloso errore. Altri aggiungono che in mancanza sul suolo degli Stati Uniti appunto di quel particolare roditore che funge da serbatoio del virus Guanarito, la malattia non può diffondersi.
Questo è il resoconto del fatto, personalmente nel leggerlo, oltre che un po’ agghiacciato, mi sono sentito un uomo di altri tempi. La mia prima domanda è come ci si può ritenere veramente al sicuro da incidenti di laboratorio, ma soprattutto attraverso quali controlli la società è in grado di garantirsi un’incolumità che può essere messa a repentaglio in un momento qualsiasi. Si ha notizia di molti incidenti capitati nel corso degli anni in questi laboratori. Negli Usa sono molti gli Stati che contengono Laboratori di massima sicurezza, a livello BSL4, a costo elevato, si parla di 200 milioni di dollari per edificarli, più le spese di gestione. Questi laboratori vennero costruiti sull’onda emotiva dell’incidente di Boca Raton del 2001. Quali sono i risultati conseguiti? Quali i vaccini o i farmaci che sono stati concepiti, testati in questi laboratori costosissimi? La malaria è stata sconfitta? E la ricerca sull’Hiv si è avvantaggiata in questi luoghi?
Il virus Guanarito è pericoloso, dal 10 al 20% di letalità su qualche centinaio di casi negli ultimi anni, ma forse il miglior modo di combatterlo è quello di sviluppare un’agricoltura pulita e derattizzare le campagne venezuelane.