L’Egitto non c’entra nulla. Men che meno l’hip hop. I quattro giovanotti mancuniani che rispondono al nome di Egyptian Hip Hop hanno semmai a cuore le sorti del pop più trasversale e sofisticato di questi anni e gli ingredienti ci sono tutti: hanno fatto tesoro di un patrimonio che congiunge il post-punk della Factory, le Slits, il synth-pop, la psichedelia di Teardrop Explodes e Bunnymen, i Cocteau Twins, il dream pop e lo shoegaze degli Ottanta al math-rock ed all’emo-core dei Novanta, sino al revival punk-funk, alle esplorazioni geologiche/geografiche degli Animal Collective, alla vena afrobeat intellettuale dei Vampire Weekend e dei Dirty Projectors. Il tutto attraverso la lente d’ingrandimento fuori fuoco del pop ipnagogico affermatosi negli ultimi anni: Rangers, Ducktails, Hype Williams, Memory Tapes, Washed Out, Com Truise, Maria Minerva e compagnia. Nella loro musica c’è un concentrato davvero emblematico dell’epoca di transizione che la musica sta attraversando: questo è aprioristicamente un buon motivo per ascoltare questa formazione in questo preciso momento storico.

La band di Manchester ha esordito nel 2010 con il 7” Wild Human Child / Heavenly e con l’EP Some Reptiles Grew Wings e da subito ha denotato un gusto melodico memore della wave britannica, a cavallo tra Rapture, Foals e Wild Beasts, stile Moshi Moshi con esotismi vari connessi. Da sottolineare che l’EP è stato prodotto da un altro enfant prodige come lo scozzese Hudson Mohawke: produttore più cool gli Egyptian Hip Hop non potevano avere, già a quell’epoca idolo del wonky ed al giorno d’oggi, nelle vesti di TNGHT, venerata icona internazionale del trap. Importante il successivo passaggio alla R&S, etichetta che ridislocandosi da qualche anno in Inghilterra ha trovato una nuova giovinezza, imponendo giovani artisti ben rappresentativi della nostra epoca come James Blake, Blawan, Lone, tra gli altri. Ascoltate l’album di debutto Good Don’t Sleep e lasciatevi cullare dalle rievocazioni del passato e dalle tante languide trasfigurazioni del pop opearte dagli Egyptian Hip Hop: se SYH svolge a dovere il compito di singolo, un altro pezzo portante è altresì rappresentato dalle esotiche poliritmie di Yoro Diallo ma è l’album nel suo complesso ad essere permeato da quel continuum melodico narcotizzante che abbiamo descritto in apertura del nostro articolo.

Non avranno la carica rivoluzionaria di Piazza Tahrir e della Primavera araba ma l’impressione complessiva è che come tante giovani band inglesi gli Egyptian Hip Hop ci sappiano come minimo fare. Potremo constatarlo di persona venerdì 29 marzo al Covo Club. In apertura gli italiani Boxerin Club.

Un gruppo che i regaz degli Egyptian Hip Hop avranno di certo ascoltato sino allo sfinimento nelle loro camerette sono i Gang Of Four, per i quali vige naturalmente un discorso completamente diverso. Entertainment!, il loro album di debutto del 1979, è uno di quei dischi che ha cambiato il corso delle cose, indiscutibilmente uno degli album fondamentali del post-punk inglese. La band di Leeds, il cui nome derivava provocatoriamente dalla cosiddetta Banda dei Quattro, depositaria della Rivoluzione Culturale cinese maoista, ha coniato nella seconda metà dei Settanta uno stile unico in cui punk e funk si fondevano a freddo sotto le insegne di una austera militanza politica. Musica impietosa, nervosa, spigolosa e abrasiva che avrebbe influenzato intere generazioni a venire ed i cui testi raffiguravano gelidamente e cinicamente, in termini meccanicistici, tanto le relazioni di coppia ed interpersonali quanto le dinamiche dei rapporti sociali e di potere. Simon Reynolds, nel suo capolavoro Rip It Up and Start Again, interamente dedicato al post-punk, li descrive in modo decisamente efficace e suggestivo: “I Gang of Four volevano una musica cruda e severa. Andy Gill non usava effetti come fuzz e distorsore mentre Burnham evitava i piatti fragorosi. Il gruppo definì il proprio sound giocando di sottrazione non meno che operando scelte concrete. Invece degli assoli di chitarra facevamo antiassoli, smettendo di suonare e lasciando un buco spiega Gill. Gli amplificatori valvolari erano verboten, dice Gill. I Gang of Four erano contro il calore.”

Dai tempi di Entertainment! di cose ne sono cambiate parecchie: se Solid Gold (1981) prosegue ottimamente nel solco tracciato dall’impareggiabile predecessore, i successivi Songs of the Free e Hard deviano il percorso musicale della band verso forme più danzerecce – più affini, ad esempio, agli Heaven 17 – precorrendo per certi versi tanto la stessa Madchester quanto altre tendenze che si sarebbero imposte su larga scala. Nel 2011 è arrivato Content, un nuovo album della band di Jon King ed Andy Gill: ammetto che i nostri non ci fanno più infervorare come nei primi anni d’attività ed occorre dire che band come Wire e Mission of Burma hanno saputo mantenere una vivacità ed una spontaneità più genuina. Detto ciò e registrato l’avvicendamento alla voce con il giovane John Gaoler a prendere il posto di Jon King nella line-up, giù il cappello davanti al maestro Andy Gill: saremo lì ad attendere i Gang Of Four quando scenderanno dalla scala del Covo nella serata Cool Britannia di venerdì 5 aprile e saliranno sul palco dello storico club di viale Zagabria 1.

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