Nicoletta Corradini e Elena Montorsi voleranno a New York per coordinarsi con le donne di tutto il mondo in vista della prossima campagna di stop alla violenza di genere, al femminicidio e al maschilismo come avvenuto in ogni angolo della terra il 14 febbraio scorso
Da Modena a New York per organizzare la prossima campagna mondiale contro la violenza sulle donne. Toccherà a Nicoletta Corradini e a Elena Montorsi attraversare l’Atlantico e coordinarsi con le donne di tutto il mondo che daranno vita alle iniziative di V-Day, il movimento globale nato 15 anni fa su iniziativa di Eve Ensler, scrittrice, performer americana e autrice de “I monologhi della vagina”. Come sigla V-Day non è molto conosciuta in Italia, diversa situazione invece se si parla della campagna “One billion rising”, rete di eventi di cui Corradini e Montorsi sono state referenti nazionali e che lo scorso 14 febbraio 2013 ha visto scendere nelle piazze di tutto il paese 300mila persone e 400 associazioni. Migliaia di donne che hanno ballato, cantato e si sono mobilitate per dare un messaggio chiaro: stop alla violenza di genere, stop al femminicidio, stop al maschilismo. Un modo per sensibilizzare su un tema importante utilizzando le arti performative.
Nicoletta Corradini e Elena Montorsi – assieme a Nicoletta Billi, portavoce italiana di Eve Ensler – saranno dunque a New York per capire come continuare l’esperienza italiana. Un’esperienza che in qualche modo è nata proprio a Modena e a Castelfranco, dove dal 2007 ad oggi gli spettacoli di V-Day hanno collezionato 4mila spettatori e 20mila euro raccolti per progetti locali e internazionali di contrasto alla violenza sulle donne. Soprattutto: le modenesi (e anche qualche modenese) che hanno portato in scena ‘I monologhi della vagina’ hanno avuto l’opportunità di fare teatro e contemporaneamente di misurarsi di persona con il tema della violenza di genere. “A New York racconteremo dell’esperienza italiana di One bilion rising – spiega Nicoletta Corradini – Certo nel nostro paese c’è ancora molto da fare, bisogna ratificare al più presto la Convenzione di Istanbul e adottare la Convenzione No more che chiede al governo di verificare l’efficacia del piano nazionale contro la violenza varato nel 2011, infine bisogna ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne”.
Che servano interventi immediati lo dicono i dati. Una donna su tre è stata vittima, almeno una volta, dell’aggressività di un uomo, il più delle volte di natura domestica. Gli autori dei delitti sono nella maggior parte dei casi fidanzati, ex fidanzati, mariti. In Europa la violenza di genere rappresenta la prima causa di morte delle donne fra i 16 e i 50 anni. Secondo le ultime statistiche fornite dall’Udi (Unione donne italiane) di Modena sono 150 le donne uccise in Italia nel 2012, e 15 nei primi mesi del 2013: in aumento rispetto agli anni precedenti quando furono 137 nel 2011 e 127 nel 2010. In Emilia-Romagna i casi di femminicidio nel 2012 sono stati 21. Fra il 2007 e il 2011 sono state quasi 50mila le donne che in regione hanno subito violenza fisica o psicologica. Il dato delle violenze è in generale sottostimato, perché il sommerso è elevatissimo e il 94% delle violenze fisiche o sessuali e oltre il 90% degli stupri infatti non viene denunciato.
Non è solo una questione di convenzioni da ratificare, “per combattere il fenomeno servono fondi e finanziamenti stabili”, spiega Corradini. Nell’ultimo anno sono state 2541 le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna, con un incremento del 13% circa rispetto al 2011. “Il lavoro dei centri è in aumento e questa è una buona notizia perché significa che le donne decidono di denunciare. Purtroppo le risorse economiche diminuiscono costantemente”, racconta Angela Romanin, vicepresidente del Coordinamento regionale dei Centri antiviolenza. Per fare un esempio nel 1990 la Casa delle Donne di Bologna era finanziata con 180 milioni di lire dal Comune, somma che copriva il 100% delle attività tra cui una casa rifugio e un centro di ascolto. Ventitré anni dopo i contributi coprono il 50% circa delle spese e arrivano, contando tutti i finanziamenti locali, a 135mila euro l’anno. I servizi in compenso sono aumentati: ora le case rifugio di Bologna sono tre, così come quelle di accoglienza, mentre sono stati creati anche 7 mini alloggi di transizione. “A Lugo siamo costantemente sull’orlo dell’emergenza fondi – spiega Nadia Somma dell’associazione Demetra, Donne in aiuto – Tredici volontarie vanno avanti con 3500 l’anno, giusto il rimborso dell’affitto e delle spese più importanti. Vorremmo restare aperte 5 giorni su 7, per ora possiamo farlo solo 4 ore a settimana”