La questione nodale l’ha rimessa al centro con spregiudicata o disarmante sincerità, a seconda dei punti di vista, il sempre verde Cicchitto a Z da Gad Lerner, ed è sempre quella, ovvero “la manipolazione da parte della magistratura politicizzata della normalità della vita democratica”.
Insomma “l’uso politico della giustizia dal ’94 ad oggi” e cioè dalla discesa in campo di Berlusconi è la bussola per determinare nel nostro paese non solo la creazione di un governo ma anche l’elezione del presidente della Repubblica, garante della Costituzione e non dell’impunità di un soggetto politico.
Per Cicchitto non c’è niente di grave nel fatto che 200 parlamentari assedino il palazzo di Giustizia di Milano, dato che “cantavano l’inno di Mameli”, mentre invece è di massimo allarme democratico che in quelle aule ci siano “forze giudiziarie che fanno politica” e cioè i collegi giudicanti che non riescono ad andare a sentenza per il processo Ruby e per quello in appello sui diritti Mediaset.
E l’Europa riferimento imprescindibile per i parametri economici ed in questi giorni più che mai per gli esempi di grandi coalizioni o larghe intese, viene semplicemente ignorata quando richiama direttamente l’Italia invitando la politica “a tenere giù le mani dai magistrati”, come ha fatto il commissario europeo alla giustizia da Bruxelles.
Berlusconi vuole “un governo politico di larghe intese” anche a guida Bersani per rimettersi in gioco e contare al tavolo delle decisioni, in primis per evitare un vero pacchetto anticorruzione, una legge sul conflitto di interessi, l’archiviazione della Gasparri e la riassegnazione delle frequenze, tutte iniziative lanciate dal M5S alle quali il Pd non potrebbe rimanere insensibile.
Al Capo dello Stato Berlusconi ha ripetuto che la grande coalizione è l’unica soluzione e che non ce ne sono altre; come per il Quirinale dove vede un inquilino che sotto la definizione un po’ generica “moderato di centrodestra” ha il profilo possibilmente suo o in subordine di Gianni Letta.
Solo da se stesso o da un suo doppio pensa di poter essere garantito con il vagheggiato “salvacondotto” che non esiste a norma di legge, né di immunità, nemmeno quella presidenziale che vale nei sette anni della carica per gli atti compiti nell’esercizio dei poteri e delle funzioni attribuite al Capo dello Stato. Mentre l’assillo più pressante ed imminente è quello della condanna a quattro anni per la compravendita dei diritti Mediaset che se venisse confermata in Cassazione comporterebbe l’interdizione dai pubblici uffici e dunque l’uscita di scena definitiva.
L’obiettivo “stato di necessità” sotto il profilo giudiziario di Berlusconi e l’incastro di una crisi istituzionale dall’apparenza inestricabile anche per l’indisponibilità di Grillo che va oltre la coerenza e per la debolezza venata di arroganza di un Pd “vincitore perdente”, sono una combinazione micidiale, ma forse non del tutto inimmaginabile.
Adesso dopo il suo prevedibile infruttuoso giro, che gli spettava, Bersani viene messo alla sbarra all’interno del suo partito come corteggiatore ad oltranza di Grillo che, viceversa, secondo molti “notabili” andava considerato esclusivamente come un pericoloso avversario interessato solo “alla presa totalitaria del potere”.
Ad Omnibus Notte, per esempio, Peppino Caldarola, che l’ha sostenuto alle primarie, si detto più che deluso e ha accusato Bersani di essere diventato vittima, come Cofferati, della chimera “gauchista” e peggio ancora della sindrome “giustizialista” che l’ha portato a delegittimare Berlusconi e a non esultare per l’abbraccio mortale del Pdl.
Intanto nel partito e nei gruppi parlamentari del Pd c’è una corsa a posizionarsi vicino a Renzi ben disposto alle larghe intese con il Pdl, ospite d’onore da Maria De Filippi a casa Mediaset (dove secondo molti intende aprire la sua campagna elettorale) e ai renziani, soprattutto quelli che gli sono più vicini.