Nel cuore della notte della Resurrezione papa Francesco implora: «Non chiudetevi alla novità!».
Poche ore prima, un presidente quasi novantenne e sulla soglia del mandato insedia una specie di consiglio di reggenza, ignoto alla Costituzione, la cui unica missione è chiudere alla novità. A questo drammatico risultato ci trascina il cannibalismo del Caimano, l’incapacità suicidiaria del Pd, l’inadeguatezza di Grillo e dei 5 Stelle. Lo spiegava benissimo ieri Marco Travaglio: magari l’avesse scritto dieci o venti giorni fa.
Nessuno ha avuto il coraggio di fare un nome alto, di sinistra, noto ai cittadini e credibile agli occhi del Movimento che ha vinto le elezioni: un nome come quello di Stefano Rodotà, o uno paragonabile. Certo, per non più di un anno: per cambiare la legge elettorale, fare leggi contro la corruzione e il conflitto d’interesse, rappresentarci nell’emergenza europea. Un pio desiderio di intellettuali ingenui, si è detto: e allora prendiamoci ora la reggenza dei ‘saggi’. Dove la foglia di fico di Onida non riesce a coprire metà della vergogna. E intanto perdura il governo Monti: non sfiduciato, ma degno di nessunissima fiducia.
Siamo arrivati a questo stallo surreale grazie al «buon senso» e al «realismo». Che coinciderebbero con un governo Pd-Pdl, e con l’idea di mandare al Quirinale un relitto ‘moderato e cattolico’ della cosiddetta prima Repubblica.
Lo chiedeva ogni giorno il «Corriere della sera», lo pretendeva Mario Monti, lo insinuava l’archeologico Matteo Renzi (che ha rottamato Massimo D’Alema solo per dire, assai peggio, le identiche cose), lo dichiarava perfino Stefano Fassina, per il quale i voti della Lega (il partito anticostituzionale per eccellenza) non sarebbero poi da buttare.
Il «buon senso» e il «realismo» spingerebbero, dunque, ad affrontare questa crisi politica come se fosse una crisi parlamentare: sommando voti, riempiendo caselle, mettendo in piedi un governo fotocopia di quello Monti. E mescolando, anzi barattando, il piano delle riforme istituzionali con quello del governo. I nomi da ‘governo civico’ che filtrano sui giornali erano, al contrario, il sintomo di una perdita di senso della realtà, da liquidare con l’ironia machiavellica sull’ingenuità irresponsabile della ‘fantasia al potere’.
Ma di quale realtà parliamo? Di quella del Palazzo o di quella del Paese? Come è possibile non vedere che metà degli italiani (il 25 % che non ha votato e il 25 % che ha votato i 5 Stelle) ritiene di non avere più niente da perdere? Come è possibile continuare a parlare di ‘antipolitica’ di fronte a questa larghissima richiesta di una nuova politica? E fare ancora un governo mettendosi (in qualunque modo) d’accordo con chi ha precipitato il Paese in questo baratro sarebbe invece una forma di realismo? Cosa hanno di saggio Quagliarello o Giorgetti?
Gli italiani che hanno votato il Pdl rappresentano (anche anagraficamente) un’Italia che non è disposta a cambiare, un Paese immobile che sta divorando i suoi figli come Saturno. È realismo genuflettersi di fronte a tutto questo? Per difendere un immobile sistema di privilegi illegali, in un Paese votato al suicidio?
Questa visione si basa sull’assunto che l’esplosione del Movimento 5 Stelle sia una malattia da curare attraverso una tattica somministrazione di farmaci politici. Ma è questo assunto la vera perdita di contatto con il reale. Chiunque viva questo Paese, chiunque ne conosca i cittadini sa che, al contrario, quell’esplosione elettorale è il sintomo più evidente della malattia degenerativa di un Paese che agli occhi della metà dei suoi abitanti non sembra avere un futuro.
Il fatto che questa disperazione (non trovo altre parole) non abbia assunto forme distruttive, ma si sia potuta incanalare nella lista di Grillo offre ora la possibilità di un vero cambiamento. Come non vedere che un governo civico guidato e formato da personalità credibili agli occhi di questa parte del Paese (e ora del Parlamento) avrebbe avuto, e potrebbe avere ancora, la possibilità e la forza di avviare la rivoluzione necessaria, col sostegno della coalizione Italia Bene Comune e del Movimento 5 Stelle, che a questo punto non avrebbe più argomenti per ritrarsi dalla responsabilità?
Giuliano Ferrara ha detto che di fronte ad un governo Rodotà (o Zagrebelsky) si sarebbe suicidato. Invece ora è l’Italia è suicidarsi, grazie a Napolitano, Bersani, Berlusconi, Monti e Grillo.
Tutti insieme appassionatamente: pur di non aprirsi a nessuna novità.