L'economista torinese, presidente di Assogestioni, in teoria difende i piccoli azionisti, in pratica tratta con i poteri forti. Una rete di contatti costruita negli anni tra corridoi ministeriali e consigli di amministrazione. Lui, amico di tutti, fa in modo che tutti restino soddisfatti. A danno della collettività
Se Silvio Berlusconi, del conflitto d’interessi, è l’incarnazione, Domenico Siniscalco ne rappresenta una sorta di monumento equestre. Infatti, se B. fa prosaicamente i suoi interessi a danno di quelli generali, il brillante economista torinese è portato dalla passione alla compenetrazione di tutti gli interessi in conflitto, in modo che tutti (e lui è amico di tutti) restino soddisfatti. A danno della collettività, ma non si può avere tutto dalla vita. La designazione dei consiglieri di minoranza per la prossima assemblea degli azionisti di Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana, è l’esempio più limpido del sistema-Siniscalco, malattia senile del capitalismo. Il docente è presidente di Assogestioni, che riunisce i fondi comuni di investimento. In nome della democrazia, i fondi presentano una loro lista per il consiglio delle società di cui hanno azioni, in modo da far entrare indipendenti che vadano lì a fare i cani da guardia, l’opposizione.
Lo snodo Assogestioni. Si scopre che Siniscalco che per presentare la lista ha bisogno delle azioni di Fideuram ed Eurizon, i fondi di Intesa Sanpaolo, che naturalmente “non hanno partecipato alla designazione dei consiglieri di minoranza”. Per il capitalismo italiano le regole sono fisime per anime semplici, l’importante è che al potere ci siano galantuomini. Poco importa che i fondi italiani non siano la voce dei piccoli azionisti ma il braccio armato di banche e assicurazioni. Tre giorni fa Siniscalco è stato confermato alla presidenza di Assogestioni, con tre vice presidenti: uno delle Assicurazioni Generali, uno di Unicredit, uno di Intesa. Ma Siniscalco è notoriamente un galantuomo e anche persona dalla simpatia trascinante. Il suo curriculum è strepitoso. Professore ordinario a soli 36 anni, ha frequentato fin da giovane i corridoi ministeriali: con il suo maestro Franco Reviglio alle Finanze a soli 25 anni, poi con Massimo D’Alema a Palazzo Chigi, poi chiamato dall’amico di sempre Giulio Tremonti alla direzione generale del Tesoro, poi il 16 luglio 2004 diventa addirittura ministro dell’Economia quando B. e Gian-franco Fini decidono di far fuori Tremonti. La parentesi ministeriale dura 14 mesi. Tremonti si riprende la poltrona e l’ex amico si trova un lavoro alla Morgan Stanley prima che sia passato l’anno di “quarantena” previsto per gli ex ministri. Solo che nella legge farsa sul conflitto d’interessi Franco Frattini si è dimenticato la sanzione. Così l’Antitrust scrive al professore che ha violato la legge. Lui prende atto. Quando Siniscalco compila la lista dei consiglieri di minoranza di Intesa non gli fanno sicuramente velo gli incarichi da milioni e milioni di euro che Intesa ha dato alla Morgan Stanley da quando è presidente Assogestioni. Insomma, lui nomina i consiglieri di minoranza mentre tratta incarichi con quelli di maggioranza.
Doppio ruolo in Finmeccanica. Pensate alla Finmeccanica, dove nel 2011 Siniscalco ha spedito a controllare il numero uno Giuseppe Orsi due suoi amici piemontesi, l’ex capo della Fiat Paolo Cantarella e l’imprenditrice Silvia Merlo, il collezionista siciliano di consigli d’amministrazione Ivanhoe Lo Bello, e il francese Christian Streiff. Orsi, per niente spaventato dal rigore dei cani da guardia, telefona a Siniscalco e gli chiede di trovare (in nome delle quote rosa) qualche poltrona nei consigli d’amministrazione per la sua amica magistrato Manuela Romei Pasetti. Siniscalco dice che non vede l’ora. Ma Orsi lo richiama e gli chiede perché ancora non ha fatto niente, e il cane da guardia si scusa e giura che se ne occuperà “martedì”. Poi Orsi lo hanno arrestato, la Romei Pasetti è stata cacciata da Finmeccanica dova faceva il guardiano dell’etica, e Siniscalco ha continuato a chiedere notizie di Orsi non ai suoi consiglieri, ma a Ignazio Moncada, il potentissimo amico torinese suo e di Giuliano Amato reso celebre dalle intercettazioni di Orsi con Ettore Gotti Tedeschi.
Il tentativo (fallito) per Intesa Sanpaolo. Ma risale a tre anni fa lo spettacolo più ardito del kamasutra relazionale di Siniscalco. Eletto il 19 marzo 2010 alla presidenza di Assogestioni, un mese dopo il professore venne designato dalla fondazione Compagnia di San Paolo, primo azionista di Intesa Sanpaolo, per la presidenza della banca. Sembrava fatta, poi la cosa inciampò su una lotta di potere. Il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, difese oscuramente Siniscalco: “Sembra prevalere una logica dettata da poteri forti e autoreferenziali”. Oggi Chiamparino è presidente della Compagnia di Sanpaolo, e sta gestendo la conferma al vertice di Intesa di Giovanni Bazoli, lanciato verso i trent’anni di presidenza. Mentre Siniscalco è rientrato nei ranghi: da presidente della prima banca italiana a designatore di cani da guardia “indipendenti”. A Telecom Italia ha mandato il futuro ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, per l’Eni ha scelto il banchiere Alessandro Profumo. Controllori e controllati, una faccia una razza, per dirla alla greca. Dove ci stanno portando questi profeti della democrazia economica.