La storia più paradossale è probabilmente quella di Angelo, licenziato grazie alla legge Fornero proprio dal ministero del Lavoro, e in particolare dall’agenzia che cura progetti per la “stabilizzazione” contrattuale. La denuncia più corposa riguarda Vodafone, che ha colto al volo la riforma dell’articolo 18 per non reintegrare un centinaio di dipendenti. E poi ci sono tante piccole storie personali che mettono in luce i “buchi” della legge varata nove mesi fa dal governo Monti (leggi l’articolo di Marco Palombi): il padre di un disabile mandato a casa dall’azienda perché “approfittava” di qualche giorno al mese concesso dala legge per l’assistenza al ragazzo, o la giovane che si è vista bruciare uno stage importante per un cortocircuito burocratico. Ecco alcune delle storie legate alla legge Fornero arrivate alla redazione di ilfattoquotidiano.it. Continuate a inviare le vostre segnalazioni, in non più di 1.500 battute, a redazioneweb@ilfattoquotidiano.it, specificando nell’oggetto “Legge Fornero”.
Angelo, licenziato dal ministero del Lavoro. Italialavoro è l’agenzia tecnica del Ministero del Lavoro. Questa, seppur del Ministero del Lavoro, si regge quasi esclusivamente sui collaboratori. Sui precari, insomma. Quelli che a parole si dice di voler disincentivare e, uno dei tanti paradossi di questa azienda, quelli per i quali il ministero attua uno dei suoi progetti più grossi e importanti, Welfare to Work, finalizzato proprio alla stabilizzazione dei lavoratori. Io vengo proprio da quel progetto. Lavoravo per cercare di stabilizzare lavoratori, mentre altri pensavano a come lasciarmi a terra. Si, perché a dicembre, grazie a Monti e Fornero, in centinaia se non di più l’azienda ci ha abbandonato. Da dicembre collaboratori anche storici sono rimasti fuori, senza alcuna prospettiva. Gente che magari nella sua follia aveva anche fatto un figlio, o comunque si era sposata. Ecco, il Ministero, ovverossia Italialavoro, ha invece messo in pericolo la nostra stessa sopravvivenza. In piena recessione, ci ha completamente abbandonato.
Ilaria: “In Vodafone 100 licenziati non reintegrati”. I licenziamenti della Vodafone in Italia sono l’ emblema di come la riforma Fornero faciliti i licenziamenti discriminatori o a scopo di lucro: oltre 100 lavoratori che erano a tempo indeterminato, da oltre 15 anni, età media 40 anni, a Roma hanno vinto tra il 2011 e il 2012 ben tre cause contro la cessione di ramo d’ azienda che li aveva obbligati al trasferimento da Vodafone presso una newco, “Comdata Care”, creata nel 2007 e dai bilanci critici, invece di essere reintegrati come ordinava il giudice, sono stati licenziati (proprio di quei 33, e i successivi 86, fungibili in qualsiasi altra mansione essendo operatori polivalenti). Vodafone ha scritto che ha licenziato a causa di una sentenza “profondamente errata e inopinatamente intervenuta”. I lavoratori, minaccerebbero l’equilibrio organizzativo (si tratta di una struttura con un organico di 8000 dipendenti). Vodafone dichiara ricavi di quasi 9 miliardi di euro, fa uso massiccio di lavoro interinale e delocalizza in Romania e in Egitto attività prima svolte in Italia. Si sospetta stia riprendendo in casa, sotto mentite spoglie, parte delle attività cedute che ora dichiara non esistere, vorrebbe fare un saving per 80 milioni di Euro in un’azienda che ha un Ebitda di quasi 4.000 milioni di Euro. L’ad Paolo Bertoluzzo, nel 2012, ha dichiarato diversi milioni di euro di compensi e il Chief Executive Officer dell’intero gruppo Vodafone plc, l’italiano Vittorio Colao, ex capo di Rcs Corriere della Sera, ben 17milioni di euro. Io mi trovo in cassa integrazione con un figlio, dopo 15 anni di lavoro, in attesa della definizione del ricorso contro licenziamento collettivo del 18/10/2012.
Fausto: “Licenziato perché ho un figlio disabile”. Chi ha un disabile in famiglia, vive isolato e le grida di dolore si perdono nel nulla. Sono un papà che ha un figlio di 30 anni con grave ritardo mentale. Io e mia moglie,in questi anni, abbiamo combattuto, in silenzio, per far fronte a grandi bisogni di nostro figlio e non infastidire la gente che ci era accanto. Purtroppo stiamo invecchiando e le forze cominciano a mancarci. Abbiamo vissuto, sempre, con la speranza di un futuro migliore rinunciando ad una vita normale, dedicando il nostro tempo, lavoro permettendo, a nostro figlio. Le regole ed i ritmi sociali ci hanno distrutto. Ho 59 anni e ho usufruito della legge che permette di avere tre giorni al mese da dedicare a mio figlio; appena la Fornero ha tolto il famigerato art.18, il mio bravissimo padrone, non datore di lavoro, mi ha licenziato. Ora sono senza lavoro e ho contributi per 31 anni. Non trovo lavoro, non sono esodato e non posso andare in pensione. Cosa devo fare se non confidare nella solidarietà della gente?
Flaminia: “Ho rinunciato al lavoro e ho perso lo stage”. Dopo due anni di pratica forense (un anno in studio e uno in Tribunale) e dopo le tre prove scritte dell’esame di abilitazione, decido, a fine dicembre, di mettermi a cercare – finalmente – il lavoro che più desidero fare nella vita: entrare a far parte dell’ufficio legale di una società. Prima di cominciare la ricerca ricevo un’offerta, con contratto a tempo determinato, presso un’azienda, attività interessante, ma che non c’entra nulla con i miei studi universitari. Decido comunque di accettare, in attesa di qualcosa che sia più affine alla mia “aspirazione”. A inizio febbraio, la società Carrefour Italia mi propone uno stage nell’ufficio legale, con inizio previsto a metà marzo. Nonostante il mio contratto di lavoro, decido di seguire la mia “passione” e mi licenzio (con congruo preavviso), per iniziare questo stage. Infatti, per poterlo iniziare, devo risultare disoccupata (mi sono laureata nel 2010, quindi lo stage dei neolaureati previsto dalla riforma Fornero non poteva essere attivato): vado al Centro per l’Impiego di Milano a iscrivermi alle liste di disoccupazione (la Lombardia con la deliberazione IX/3153 ha introdotto lo stage dei “disoccupati”), dopodiché, ai primi di marzo, invio il certificato di disoccupazione all’ufficio Risorse Umane del Carrefour, come da loro richiesta. Sono in fibrillazione e non vedo l’ora di cominciare! Due giorni prima dell’inizio dello stage, ricevo una chiamata dal suddetto ufficio, e mi viene comunicato che non posso cominciare lo stage, per problemi burocratici, perché mi sono laureata da troppo tempo e non risulto più “neo” – maddai! non hanno letto il cv? Fondamentalmente a 27 anni e dopo 2 anni e mezzo di lavoro, non ho abbastanza esperienza da poter aspirare ad un contratto (infatti i miei 2 anni di pratica forense sono considerati come il nulla), ma sono troppo vecchia per poter fare uno stage (grazie alla riforma Fornero), in quanto mi sono laureata troppo tempo fa. La mia vita è, dunque, un paradosso.
Cristina, licenziata ma “non più” in mobilità. Dopo essere stata licenziata il 28 settembre 2012, ho ottenuto dal centro dell’impiego un “foglio” che attesta il diritto all’iscrizione nelle liste di mobilità, durata 3 anni, in base alla legge 236. Così dal 12 ottobre sto inviando curriculum dove evidenzio, tra le altre, la mia “preziosa qualità”. Senonché ora, dopo un colloquio determinante dove mi si diceva di essere proprio la risorsa cercata, mi sento dire però che non sono più in mobilità da gennaio in quanto la legge e cambiata e sono considetrati in mobilità solo quelli iscritti in base alla legge 223 (per aziende che superano i 15 dipendenti) e noi provenienti da piccole aziende ci possiamo attaccare al tubo del gas. Quando ho obbiettato che io ho un’iscrizione nell’anno 2012 mi è stato detto che la legge di gennaio è come “retroattiva” in quanto non riconosce più quanto espresso sugli accordi precedenti. Ma per queste persone noi cosa siamo?
Patrizia, licenziata dopo la maternità. Ho 37 anni e sono purtroppo disoccupata. Ho lavorato per anni come impiegata in una società di doppiaggio con contratto indeterminato, poi sono rimasta incinta e il giorno dopo la fine della maternità anziché tornare a lavoro (come loro mi avevano detto) mi hanno mandato la lettera di licenziamento con mio enorme stupore dicendo che a causa della crisi non potevano più tenermi nella loro azienda; e così nonostante anni e anni di lavoro mi ritrovo una mamma sola, con due gemelle di 2 anni, un affitto e senza lavoro ma soprattutto senza nessunissimo minimo aiuto e protezione dallo Stato, è questa è la cosa più grave.
Armando, impiegato mascherato da partita Iva. Sono un “ragazzo” di quasi 30 anni ormai e lo scorso ottobre dopo un mese di prova presso una agenzia di stampa del settore aeronautico di Roma, sono stato “costretto” ad aprire una partita Iva per lavorare come montatore video per una cifra mensile che ho vergogna a dirvi. L’ho accettato io quindi non posso lamentarmi da questo punto di vista, preferendo fare un lavoro che mi gratificava di più e in cui ho grandi competenze piuttosto che lavorare in nero come portiere notturno in un hotel o passare le mie intere giornate ad inviare una marea di curriculum. Dovrei essere un collaboratore, ma sono “costretto” ad andare in ufficio alle 9 di mattina ed uscire alle 18 come un impiegato. La cosa peggiore è che sono ormai quattro mesi che non vengo pagato per il mio lavoro che eseguo sempre con grande scrupolo e professionalità. Sto pensando di rivolgermi all’ispettorato del lavoro o a qualche patronato per avere un’assistenza legale e far fronte a questa situazione. Tra un paio di mesi emigrerò in Olanda, alla ricerca di un po’ più di rispetto e dignità.
Insegnanti al Cepu: “Abbiamo chiesto la stabilizzazione, siamo state licenziate”. Voglio segnalare questa notizia, che riguarda quattro insegnanti Cepu di Firenze. ”Siamo state assunte come insegnanti – hanno spiegato – con contratti di collaborazione a progetto pur svolgendo attività di lavoro subordinato. Abbiamo aperto una vertenza con la Cgil per cercare di migliorare la nostra posizione, ma dopo 15 giorni siamo state licenziate in tronco. Altre due ragazze che hanno aperto la vertenza insieme a noi hanno invece preferito dimettersi”. Secondo il segretario regionale della Flc-Cgil Alessandro Rapezzi ”la vertenza si inquadra dentro una situazione più complessiva che riguarda il settore della formazione privata. E’ il frutto della riforma Fornero, che obbliga le aziende ad assumere o anche a licenziare. Davanti alla più piccola difficoltà, il primo a pagare è il lavoratore, anche di fronte a semplici richieste di stabilizzazione, così come previsto dalla stessa legge Fornero”.