Da 12 anni Laura Corradi tiene la cattedra in "Gender studies", una multidisciplina che nel resto d'Europa vede fiorire un'intensa attività di ricerca. "Scelta fatta da tempo, ma si sono dimenticati di informarmi". Il motivo? "Sfoltire i moduli superflui". Eppure la partecipazione è sempre stata alta
Laura Corradi è un cervello in fuga rimpatriato: ha insegnato per 7 anni all’Università di California, negli Stati Uniti, ha pubblicato su numerose riviste internazionali e da 12 anni ha una cattedra in Studi di genere al dipartimento di Sociologia dell’Università della Calabria. L’Italia però non sembra apprezzare il suo valore. Le è infatti stato comunicato che il suo corso verrà chiuso. Un peccato considerando che in Italia gli studi di genere – un settore multidisciplinare che serve per creare consapevolezza e rispetto delle differenze, per cambiare la mentalità che è alla base di forme di violenza come il femminicidio, la subordinazione e la discriminazione delle donne sul lavoro e in famiglia, la marginalizzazione delle donne nella vita politica, l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia – si contano sulle dita di una mano. Un’anomalia tutta italiana considerando che nel resto d’Europa, in Paesi come la Svezia, la Finlandia, la Norvegia, la Danimarca, l’Olanda, la Germania e anche la Spagna, ci sono riviste, centri di ricerca, diplomi, lauree, master e dottorati dedicati proprio ai “Gender Studies”.
Perché vogliono chiudere il corso in cui insegna?
Ho saputo in questi giorni che la decisione di cancellare il corso è stata presa due anni fa mentre ero all’estero per ricerca. Si sono dimenticati di informarmi, neanche una telefonata o una mail. Alla base della decisione c’è un decreto ministeriale che chiede di sfoltire i corsi superflui, il che avviene con le solite logiche accademiche per cui trionfano gli interessi degli ordinari e delle persone a loro vicine. E inoltre c’è una svalutazione tutta italiana del lavoro delle donne: ho passato anni a correggere compiti di centinaia di studentesse, scritti a mano perché non avevano i computer, in un italiano da paura.
Quante sono le allieve del corso?
Il corso è stato messo in opzione con una nuova materia, “Famiglia e mutamento”, e nello stesso orario in cui le studentesse hanno corsi obbligatori. Quest’anno soltanto 15 allieve. Lo scorso anno, però, erano una cinquantina.
E negli anni precedenti?
Durante tutto lo scorso decennio ho avuto circa 100 studentesse all’anno alla sede centrale dell’Università della Calabria e altrettante (un anno addirittura 160) a Crotone nella sede distaccata, che è poi stata chiusa per mancanza di fondi. Da parte delle ragazze c’è sempre stato molto interesse ed entusiasmo. Finalmente per loro era diventato possibile parlare di differenze e disuguaglianze di genere, di sessualità, di libertà e di fare empowerment in classe.
Che cosa si studia nel corso di Studi di genere che sta insegnando all’Università della Calabria?
Il corso è il frutto di 25 anni di didattica su questi temi. Ho insegnato dalla sociologia della famiglia e delle sessualità fino agli studi sulla costruzione sociale delle differenze di genere. Il corso è molto interattivo, con diversi spunti teorici, ospiti, interviste via Skype, audiovisivi, laboratori. Guardiamo al locale ed al globale, per esempio attraverso le pubblicità, con un approccio ‘intersezionale’, affrontando cioè le diverse rappresentazioni di genere e le varie forme di sessismo con il razzismo, il classismo, l’eteronormatività, le discriminazioni fondate sull’età. Inoltre analizziamo le problematiche principali legate a violenza, pedofilia, impatto della crisi sulle donne, prostituzione e via dicendo.
Lei è un cervello in fuga ritornato che ora si ritrova a fare i conti con la solita struttura nepotista e non meritocratica dell’Università?
Quando sono rientrata in Italia ho avuto problemi enormi proprio per queste ragioni, non riconoscimento del merito, un mobbing durissimo e la richiesta esplicita che me ne andassi perché rappresentavo un ostacolo per i giochi di potere in corso. Preferisco non parlarne, diciamo che sono riuscita a restare ma fortemente penalizzata: a 35 anni ero lecturer all’Università di California, oggi a 53, dopo 18 anni supplementari di didattica, avendo anche triplicato le pubblicazioni, sono ricercatrice nell’Università di Calabria. Sembra uno scherzo, ma è la realtà.
Che cosa pensa di fare se chiudono il corso?
Continuerò a lavorare sul piano internazionale dove le cose vanno decisamente meglio. Qui non so cosa farò, spero che capiscano di aver fatto un grosso errore, che danneggia le studentesse e l’immagine stessa della nostra università.