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Cina, in Africa interessi per 200 miliardi di dollari. “Nessuna logica colonialista”

Pechino importa materie prime, esoporta prodotti finiti e investe in infrastrutture. Uno scambio che rischia di minare il sistema economico africano. Ma in occasione del suo viaggio nel continente nero, il presidente Xi Jinping ha assicurato: "Nessuna volontà di sfruttamento"

Nel 2012 gli scambi commerciali tra Africa e Cina hanno quasi raggiunto i 200 miliardi di dollari, circa il 20 per cento in più rispetto al 2011. Ma nel suo viaggio africano il presidente Xi Jinping si è trovato per la prima volta a dover rassicurare i paesi del continente nero che la Cina non si è comportata e non si comporterà come una qualsiasi potenza coloniale. Ha promesso 20 miliardi di dollari in tre anni per le infrastrutture e 30mila corsi di formazione per gli africani.

I rapporti commerciali tra Africa e Cina sono cominciati prima dell’avvento di Cristo. Ritrovamenti archeologici e fonti classiche datano gli scambi tra i due paesi già nel 200 a.C. Ma è in tempi moderni che hanno raggiunto una mole importante. Già negli anni Sessanta, ai tempi di Mao Zedong, la Cina aveva tra i suoi obbiettivi quello di stringere relazioni forti con il continente africano per contrastare insieme “l’imperialismo occidentale”. Negli ultimi vent’anni poi, gli scambi tra i due paesi si sono fatti realmente consistenti, e questa volta non per ragioni politiche ma esclusivamente economiche. Negli anni Novanta i commerci tra la Cina e i paesi africani sono cresciuti del 700 per cento e nel 2000 è stato addirittura stabilito il Forum per la cooperazione sino-africana.

Da allora i paesi occidentali, soprattutto Stati Uniti e Gran Bretagna, hanno espresso sempre più di frequente la preoccupazione per il ruolo crescente che la Cina stava giocando nel continente nero sia sul piano economico che su quello politico e militare. A differenza dei paesi occidentali, la Cina, forte del suo principio di non intervento, ha coltivato i rapporti con quasi tutti i paesi africani a prescindere da ciò che accadeva alle loro classi dirigenti. La sua presenza, sempre più massiccia, ha già cambiato l’Africa. I negozietti cinesi che vendono casalinghi e vestiti a poco prezzo fanno ormai parte dei panorami delle grandi città africane e, in linea di massima, ha costruito a sue spese quasi tutte le più importanti infrastrutture così come i sistemi per l’estrazione delle preziose materie prime. Ha costruito le sue relazioni con i governi africani sulla base di accordi win win, come non si stanca d ripetere la diplomazia cinese. Ovvero in cambio di materie prime a basso costo, noi garantiamo infrastrutture e trasferimento di know how. Ma qualcosa sta cambiando ed evidentemente anche ai paesi africani le parole non bastano più.

Alcuni funzionari hanno espresso il timore che le importazioni di beni di bassa qualità e a buon mercato unito alla costante sete di materie prime dell’ex Impero di mezzo stanno alterando le relazioni economiche tra Cina e continente africano, rendendo a quest’ultimo più difficile intraprendere la strada dell’autosufficienza industriale. Così il nuovo presidente della Repubblica popolare ha colto l’occasione del suo viaggio in Africa per rassicurare i suoi partner commerciali. In un discorso pronunciato in Tanzania due domeniche fa, Xi Jinping ha sottolineato come la Cina stava contribuendo alla crescita economica del continente africano e ha promesso che “continuerà a lavorare a fianco dei paesi africani e saprà adottare gli accorgimenti pratici affinché si risolvano i problemi relativi alla cooperazione economica e commerciale in modo che i paesi africani possano guadagnare di più da questa cooperazione”.

Secondo le statistiche cinesi, il valore dei rapporti commerciali tra Cina e continente africano (compresi gli stati nordafricani come Libia e Egitto) ha raggiunto i 198 miliardi di dollari nel 2012, il 19,3 per cento in più rispetto all’anno precedente. Mentre sciorinava i dati, il presidente Xi era ospitato in un centro conferenze di Dar es Salaam costruito grazie agli aiuti cinesi, un modo per mettere l’accento sulla generosità del suo governo e allo stesso tempo rimarcare i rapporti di forza. In quell’occasione ha rinnovato la promessa fatta lo scorso anno di accordare ai paesi africani un prestito di 20 miliardi di dollari in tre anni “per lo sviluppo delle infrastrutture, dell’agricoltura e del commercio” e ha annunciato di aver messo in conto corsi di formazione per 30mila africani e borse di studio all’estero – con ogni probabilità in Cina anche se non è stato specificato – per 18mila studenti.

Con queste proposte il nuovo presidente cinese cerca di rispondere alle frustrazioni dei mercati emergenti, che cominciano a temere che la cooperazione con la Cina non sia più tanto differente da quella con la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale. “La Cina ci prende le materie prime e ci vende prodotti finiti – ha esplicitato questo mese sulle pagine del Financial Times Lamido Sanusi, il governatore della Banca centrale della Nigeria -. Questa era anche l’essenza del colonialismo”. Ma la Cina ci tiene a non essere percepita come un paese imperialista. Lu Shaye, a capo del Dipartimento per gli affari africani del ministero degli Esteri cinese ha dichiarato che è stato l’Occidente a essere interessato solo alle risorse del continente africano, non la Cina. E, intervistato da una televisione di Hong Kong, ha espresso il suo risentito giudizio: “Cosa hanno fatto per l’Africa i paesi occidentali negli ultimi 50 anni? Nient’altro che criticare la Cina”. Il tour africano di Xi Jinping è finito nella Repubblica del Congo. Da qui nel 2012 la Cina ha comprato il 2 per cento del totale del petrolio importato, una percentuale che potrebbe essere molto più alta nei prossimi anni.

di Cecilia Attanasio Ghezzi