In premessa voglio dire che condivido in larghissima misura i contenuti del post di Peter Gomez. Voglio però aggiungere alcuni elementi di natura politica al ragionamento di Gomez.
Essendo l’Italia un Paese di corta memoria forse è meglio ricordare i fatti dell’autunno 2011, quando Napolitano ha imposto al Paese un governo non eletto dal popolo, bloccando, con il codino sostegno della grande stampa nazionale, il ricorso alle urne che avrebbe allora dato un quadro politico netto e definito, mettendo verosimilmente fuori gioco Silvio Berlusconi che all’epoca annaspava intorno al 13 percento dei consensi.
L’ascesa di Monti non avvenne in emergenza, era stata già preparata con la sua nomina a senatore a vita. Il ricorso alle urne venne bloccato con un vero colpo di mano, paventando lo spettro della Grecia e un inverosimile prossimo fallimento dell’Italia (che gli gli altri leader europei non potevano certo permettersi). Le forze politiche si adeguarono immediatamente. Pochissime furono le voci fuori dal coro, tutte rapidamente ridotte al silenzio dall’accusa di ‘irresponsabilità’.
Il lavoro di Monti lo abbiamo visto. I risultati della sua cura sono sotto gli occhi di tutti. Lo sanno bene gli imprenditori, i lavoratori, i pensionati e quell’originalissima categoria sociale creata dall’incapacità di questo sciagurato governo: i cosiddetti esodati. Gente normale che da un giorno all’altro si è trovata senza un reddito, grazie alla cosiddetta riforma imposta dalla professoressa Elsa Fornero.
Oggi Napolitano fa il bis, imponendo ancora una volta al Paese la permanenza di Monti e del suo governo non eletto. Un esecutivo che ha avuto la fiducia da un Parlamento che ormai non esiste più e che non si sogna a chiederla al nuovo. Un Governo che dunque non sarebbe sbagliato definire abusivo sul piano costituzionale. Ufficialmente è in carica per l’ordinaria amministrazione, ma secondo molti finirà per operare come un governo in carica, affrontando questioni rilevantissime per la vita dell’Italia.
Napolitano, nell’ultima parte del suo mandato vira dunque verso un decisionismo che modifica sostanzialmente il ruolo del Presidente della Repubblica, portandolo ad essere sempre meno arbitro del gioco democratico e sempre più parte in causa. Compie dunque uno strappo profondo del quale in pochi si rendono conto. Ne è parte anche l’essersi rifiutato di mandare davanti alle Camere un Governo guidato dal leader che, seppur di poco, aveva vinto le elezioni politiche, con la giustificazione, non prevista in nessuna norma costituzionale, che a Bersani “mancavano numeri certi” in Senato . Il Governo poteva cercarsi una maggioranza in Senato e doveva comunque essere l’aula di Palazzo Madama a certificarne il fallimento, come ha ripetutamente chiesto Bersani durante l’ultimo durissimo confronto con Napolitano al Quirinale. Il Capo dello Stato ha pervicacemente bloccato questo svolgimento, che aveva una sua logica costituzionale e tenta oggi di imporre, anche attraverso la singolare e strampalata idea della commissione di saggi, una sua personale ipotesi di maggioranza di larghe intese che non tiene minimamente conto del risultato delle urne e cozza come un treno impazzito contro alcuni fondamenti della Costituzione.
Il Capo dello Stato fa tutto questo puntando ancora una volta una pistola alla tempia del centro sinistra, come sempre convinto di doversi assumere l’eterno ruolo di salvatore della Patria. Napolitano e i suoi sostenitori invocano il governissimo, raccontandoci la favoletta che queste ammucchiate risolverebbero i problemi del Paese. Eppure non ci vorrebbe molto, neppure agli acuti dirigenti del Pd, per capire che il senso di responsabilità dovrebbe essere ben altro: il Paese ha necessità di scelte nette, non ha bisogno di un sistema di larghe intese, che hanno prodotto solo immobilismo e impedirebbero anche in futuro di affrontare i nodi veri che abbiamo di fronte. Il governo Monti, sostenuto da Pd e Pdl, ne è stato l’emblema. Non ha realizzato alcuno degli obiettivi che gli erano stati affidati: non ha cambiato la legge elettorale, e ci ha portato al voto di nuovo col porcellum, non ha approvato una legge anticorruzione, solo per citare i due principali obiettivi mancati a causa del veto imposto dal Pdl.
Sul piano politico un governo di larghe intese porterebbe il centro sinistra e il Pd a disintegrarsi. Berlusconi ne uscirebbe come sempre indenne e l’unico a guadagnarci sarebbe solo Grillo che, non a caso, prima indicava Monti come il peggiore dei mali (vi ricordate il rigor montis?) e oggi dice che la permanenza in carica di un governo Monti è il meglio che può capitare. Il M5S insieme a Napolitano ha lavorato coscienziosamente per impedire che il tentativo Bersani si avviasse. I “rivoluzionari senza ghigliottina”, i teorici della democrazia diretta oggi sostengono la scelta di Napolitano di imporre un “governo abusivo”, che non ha eletto nessuno e che non ha la fiducia del Parlamento in carica. Per il Grillo, dunque, meglio Monti di Bersani… il clown si è tolto il trucco e il Re è nudo. Almeno per chi vuol vederlo!