Un modo impegnativo e affascinante per mettersi alla prova, esplorando i propri limiti. Scopriamo con Francesca Di Pietro, psicologa turistica e travel blogger, cosa c’è dietro alla decisione di partire e alla filosofia del "meglio soli"
Un’esperienza alla scoperta di luoghi da attraversare contando solo sulle proprie gambe e sui propri occhi. Ma anche
Perché si decide di partire da soli?
Per molti la motivazione iniziale è di carattere puramente pratico: si vuole intraprendere un determinato viaggio, non si trova nessuno disposto a venire con noi ma non si vuole comunque rinunciarvi. Accanto a questa interviene una ragione più profonda, quella di cercare qualcosa di “forte” e mettersi alla prova, magari anche in relazione ad un particolare momento della propria vita. Io ad esempio ho cominciato nel 2008, dopo importanti cambiamenti in campo affettivo e non solo. Avevo bisogno di spazio e di tempo per riflettere, per capire cosa stava succedendo, e con gli impegni della vita quotidiana non era possibile. Così decisi di andare in Turchia.
Quali sono le principali difficoltà da affrontare?
La parte veramente difficile non è tanto il viaggio, ma prendere la decisione di partire. Spesso si hanno paure legate a pregiudizi frutto di una cultura sbagliata che fortunatamente sta pian piano scomparendo. Prima si pensava che partire da soli fosse “da sfigati”, una scelta legata solo al fatto di non aver trovato un compagno di viaggio. Ora invece si capisce che lo si fa perché ha un valore differente rispetto a un viaggio tradizionale. Anche i rapporti con le persone che incontri cambiano: le vite “si incastrano” e i legami che si creano sono più intensi.
Una volta partiti quali sono gli ostacoli psicologici da superare?
Il non avere appigli. Sei da solo in tutte le decisioni quotidiane. Dall’itinerario ai mezzi di trasporto fino a scelte solo apparentemente estreme come attraversare un confine di notte: è tutto sotto la tua sola responsabilità. Sei senza protezioni, e ogni prova che superi è un regalo. Si scoprono qualità che non si sapeva di avere e c’è un grande guadagno in termini di autostima, importante anche una volta tornati a casa. Ho intervistato tanti viaggiatori in solitaria: nessuno mi ha mai detto di essersi pentito di averlo fatto.
I pericoli sono molto meno di quanto si pensi, e questo vale sia per gli uomini sia per le donne. Certo, occorre avere grande rispetto per le usanze del Paese che si attraversa, magari documentandosi prima di partire. Io non sono stata mai aggredita né derubata; a chi è capitato il più delle volte è stato a causa di comportamenti che tutti dovrebbero evitare per una normale cautela, come prelevare al bancomat in zone isolate o addentrarsi all’imbrunire in aree notoriamente pericolose.
Cosa non può mai mancare nel bagaglio di un viaggiatore in solitaria?
Innanzitutto la mascherina e i tappi per le orecchie. Perché non si sa mai dove si finisce a dormire, dagli ostelli con camerate numerose fino ai sedili dei pullman notturni. E la qualità del sonno è fondamentale per la buona riuscita del viaggio. Poi 2-3 lucchetti per tenere sotto chiave le cose di valore. E infine ciò che riguarda l’igiene, la salute e la sicurezza: la quantità di medicinali dipende molto dall’indole personale, perché ormai si possono comprare quasi ovunque. Io ad esempio vado in giro con una farmacia ambulante, anche perché in passato mi è capitato di stare male durante un viaggio in Argentina e in quei casi da soli è dura.
È un modo di viaggiare costoso?
No, anche se il prezzo ovviamente cambia in base alle destinazioni. Per la sistemazione esistono molti strumenti low cost, dal couchsurfing agli ostelli fino agli scambi di casa. E anche per mangiare spesso è possibile cucinare per conto proprio o buttarsi sullo street food: un trucco per risparmiare è quello di andare nei locali frequentati dalla gente del posto.
Esiste una meta ideale da cui cominciare?
No, la destinazione “giusta” dipende da cosa una persona cerca nel momento in cui parte. Anche se è ovvio che fare quattro g iorni a Londra o un mese in Laos non è la stessa cosa. L’unico consiglio che darei è quello di lasciar perdere le grandi città e iniziare da centri più piccoli.
E tu? Qual è il viaggio che ti è rimasto nel cuore?
Sono stata molte volte in Sudamerica, amo la cultura di quei luoghi e ho realizzato anche il mio sogno di attraversare le Ande. Ma paradossalmente il Paese che più mi è rimasto impresso è la Bolivia, forse perché era quello di cui sapevo meno e vi ho trovato cose che non mi aspettavo. È una terra davvero ricchissima di bellezza.