Il successore di Mussari rivendica: "Se le banche non sottoscrivessero più i titoli di Stato, lo spread crescerebbe alle stelle". Silenzio sulla fonte del denaro investito nel debito pubblico e sugli aiuti a Mps
“Le banche italiane sono impegnate nel debito pubblico per oltre 350 miliardi di euro, oltre il 20 per cento del debito italiano”. La rivendicazione è arrivata da Antonio Patuelli, il successore di Giuseppe Mussari alla guida della lobby italiana del credito, l’Abi. Che ha approfittato delle telecamere del Tg2 per sfogarsi: “Con l’impegno delle banche italiane nel debito pubblico italiano – dice – le banche contribuiscono a tenere il più basso possibile lo spread. Se le banche non sottoscrivessero più i titoli del debito pubblico italiano, lo spread crescerebbe alle stelle e il costo del denaro sarebbe molto più elevato per le famiglie e le imprese. Bisogna ricordarselo”.
Il gioco è facile, tanto più che il titolare del debito pubblico è lo stesso Stato che non paga le imprese alle quali sono ancora dovuti da tempo immemore oltre 100 miliardi di euro, come conferma lo stesso Patuelli. Che invece dimentica di ricordare un fatto non da poco. E cioè che dei 350 miliardi che il credito italiano ha investo in titoli di Stato, almeno un centinaio è frutto del reinvestimento di meno della metà dei 280 miliardi di euro che il sistema ha ottenuto l’anno scorso in prestito dalla Bce al tasso risibile dell’1 per cento. Una scelta vincente anche agli attuali valori del Btp (330 punti), considerati i livelli di luglio 2012 (540 punti). Quindi è difficile parlare di beneficenza. O lasciarlo intendere. Tanto più alla luce degli ultimi bilanci delle banche.
Chi è rimasto a secco, invece, sono le stesso imprese e le famiglie che prendono stangate dallo Stato e non ottengono prestiti dal mondo del credito, come sa bene Patuelli, visto che i dati mensili sul settore li distribuisce proprio l’Abi. Ma anche di questo non si parla. Meglio ricordare, piuttosto, che le banche italiane “sono state criticate fino a metà 2000 per essere state troppo prudenti e non speculative. Per fortuna che questo è avvenuto perché non hanno avuto bisogno di interventi a fondo perduto o di regali da parte dello Stato a differenza delle banche degli altri paesi europei e del mondo”, ha proseguito, senza entrare nel merito dei Tremonti bond che, benché difficilmente classificabili come regalo, non tutte le banche hanno ancora restituito allo Stato.
Ancor meno Patuelli si è imbarcato nel tema Monti bond, il veicolo degli oltre 4 miliardi pubblici andati al Monte dei Paschi di Siena con modalità criticate perfino da Mario Draghi. Tanto più che che secondo alcuni analisti la banca non sarà in grano di far fronte al debito prima del 2019. Difficile credere, però, che il nuovo capo dell’Abi non ne sappia niente, visto che proprio al caso senese deve la sua nomina a capo della lobby.
Quella che per sua mano ha inviato ai “saggi” nominati dal Presidente della Repubblica il testo Crescita, produttività e occupazione: le sfide che l’Italia ha di fronte. “Si tratta – precisa una nota dell’Abi – di un documento programmatico con cui il mondo bancario sottolinea l’urgenza di intervenire per spezzare la spirale di negatività, che si sta scaricando sulle imprese, le famiglie, le banche e l’intera economia”.