Va dato a Grillo quel che è di Grillo: non ci ha ingannati. Infatti tutti i passi del M5S dopo le elezioni hanno perfettamente corrisposto alle ragioni per cui la più parte di noi elettori li aveva votati: dare una bella sfoltita alla corporazione trasversale della politica e – in particolare – punire l’opportunismo arrogante del Pd, che già credeva di avere in tasca la vittoria; presumeva di tenerci in ostaggio per fare i propri comodi.
Semmai il problema è che l’operazione ha ottenuto un successo eccessivo, incamerando consensi all’incirca doppi di quelli inizialmente previsti, auspicati. Se la strategia “angelo vendicatore” poteva andare bene in un quadro tutto sommato di governabilità, come deterrente e utile contrappeso, diventa devastante quando si traduce nell’entrata in Parlamento di quella che Rossana Rossanda definisce “un’armata Brancaleone senza programma” (suvvia, la Summa Theologiae Cinquestelle è un pastiche di banalità e insensatezze).
A questo punto lo svillaneggiameno da parte della tracotante stolida Roberta Lombardi del Pierluigi Bersani, trasformato in travet da novella di Nicolaj Gogol (e relativo film di Alberto Lattuada), risulta soltanto imbarazzante e penoso. Non meno imbarazzante e penoso dello scoprire come i percorsi di selezione fittizi arruolino leader da assemblea di condominio, coordinati da smarriti tra la folla alla Vito Crimi, oltre un buon numero di casi umani riciclati a comunicatori.
Sicché, nel giro di pochi giorni i limiti culturali del ragionier Grillo e del Perito Industriale Casaleggio sono apparsi in tutta la loro evidenza: ancora una volta lo star-system funziona benissimo per conquistare consensi di cui poi non sa che farne. A questo punto cresce la sensazione che si sia in presenza dell’ennesima bolla destinata rapidamente a evaporare; come quella del castigamatti Antonio Di Pietro, che dissipò in narcisismi, nepotismi e campagne acquisti scriteriate l’ingente patrimonio di Mani Pulite: pace all’anima sua. Il dramma è che la bolla mediatica primigenia – quella legata al nome di Silvio Berlusconi – continua invece a incombere; anche perché si è trasformata in cappa di piombo per due ragioni strutturali: il controllo di un armamentario mediatico ineguagliabile e il vantaggio dell’ormai unico radicamento sociale tangibile nella liquefazione dei vecchi blocchi dell’età fordista (il conglomerato forzaleghista di abbienti e impauriti, nuova borghesia cafona e sottoproletariato).
Insomma, la desolante inconsistenza grillesca nel mettere a frutto la vittoria elettorale crea le premesse per un ricompattamento dell’establishment colluso; magari sotto la maschera falsamente novistica di un Matteo Renzi, perfetto nel garantire equilibri da regime padronale con spruzzate yé-yé. D’altro canto, con M5S nel pallone e il Pd sempre più contendibile anche a spezzatino, quale alternativa plausibile esisterebbe alla restaurazione partitocratrica benedetta dal tardo ottuagenario d’apparato Giorgio Napolitano? Ed invece questo è il vero tema su cui bisogna discutere e lavorare. Perché è visibile a occhio nudo la perturbazione nello spirito del tempo che offre interessanti prospettive per uno spostamento a sinistra della politica. Tanto come istanza di equità quanto di ricorso al collettivo orientato ai beni comuni: inevitabili ricette per curare le catastrofi trentennali opera del Liberismo in combutta con lo Statalismo.
Sì, a sinistra; accantonando le scempiaggini negazioniste delle categorie Destra/Sinistra in voga negli ultimi tempi: posizione tipicamente di destra, secondo le sue abituali attitudini mimetiche; difatti propugnata da due persone chiaramente di destra come Beppe Grillo (a Genova ci si ricorda delle sue simpatie giovanili da piccolo borghese reazionario) e GianRoberto Casaleggio (nel suo caso Destra esoterica, da campo Hobbit con ambientazioni fantasy-web). Nella repentina perdita di spinta propulsiva da parte del soggetto che aveva incarnato la domanda di Altra Politica nelle ultime tornate elettorali, il bisogno di Buona/Altra Politica va alla ricerca di nuove sponde. Certo è che la vicenda fallimentare di Antonio Ingoia ha lasciato il campo della radicalità progressista ingombro di scorie e detriti.