Il primo cittadino interviene a sorpresa sulla possibile dissoluzione dei Democratici: una parte socialista e una parte centrista con Renzi. "Non possiamo tornare a suddivisioni del Novecento". Poi tira dritto sull'omologo fiorentino: "Dice di far presto? Cosa saggia, ma prima eleggiamo il nuovo Presidente della Repubblica"
Se il Partito Democratico dovesse spaccarsi “resterò indipendente”. E’ dura la critica rivolta dal sindaco di Bologna Virginio Merola alle correnti che in questi giorni minacciano di dividere il partito guidato da Pier Luigi Bersani: quella centrista, capitanata dal primo cittadino di Firenze Matteo Renzi, che negli scorsi giorni non ha risparmiato critiche al proprio segretario; e quella che Merola stesso definisce “spartana”, cioè i giovani turchi, che vorrebbero dare vita a un movimento di matrice più socialista.
“Il Pd è il futuro – ha infatti chiarito il sindaco del capoluogo emiliano romagnolo – un partito che deve ancora essere fondato”. Per questo se, come si è ventilato in questi giorni, sulla base anche delle affermazioni rilasciate da Renzi alla stampa, dovessero emergere correnti secessioniste all’interno del gruppo, lui continuerà il suo incarico da indipendente. Nonostante a febbraio scorso, all’indomani del voto, fosse stata proprio la sua ‘deriva renziana’ a fare infuriare il Pd, “Renzi – disse – è la nostra possibilità di rinnovamento e bisogna prenderne atto”, la bocciatura del sindaco per qualsiasi spaccatura è netta.
Il primo cittadino di Bologna alle prese con la ridefinizione del bilancio e l’aumento delle tasse comunali, ha poi parlato del governo: “Renzi ha chiesto di “fare presto” nella formazione del nuovo esecutivo? E’ una cosa saggia che pensano tutti i cittadini, ma prima bisogna attendere l’elezione del presidente della Repubblica, poi bisogna iniziare a fare qualcosa”. Agire per il paese, come chiedono a gran voce i cittadini, evitando però qualsiasi spaccatura.
“Sento – ha aggiunto Merola, dopo aver firmato la petizione per chiedere allo Stato di assumere la gestione diretta di più scuole dell’infanzia, d’iniziativa democratica – che c’è chi pensa di formare un partito socialista, e chi invece guarda al centro. Abbiamo fatto il Pd perché siamo fuori dal Novecento, mi risulta. Bisogna guardare avanti, rispondere alla crisi democratica di questo paese con più democrazia e questa opzione è rappresentata dal Pd. E’ il Pd”.
L’affondo è volto a spegnere gli entusiasmi e soffocare quel dibattito che da giorni tiene in ostaggio un partito già colpito dalla tornata elettorale, che ne ha sancito la perdita di voti e, soprattutto, di elettori. All’indomani del voto quelli che sembravano malumori interni rivolti soprattutto al segretario Bersani, si sono trasformati in volontà di rinnovamento.
In primis da parte del candidato uscito sconfitto dalle primarie, Matteo Renzi, ‘l’ateniese’, che sui giornali ha attaccato più volte la leadership democratica: “Il Pd avanzi la sua proposta – ha criticato – senza farsi umiliare andando in streaming a elemosinare mezzi consensi a persone come la capogruppo dei 5 Stelle, che hanno dimostrato arroganza e tracotanza nei nostri confronti. Mi veniva da dire: ‘Pierluigi, sei il leader del Pd, non farti umiliare così!’”. E pur rigettando il termine ‘scissione’, sta già organizzando una nuova campagna elettorale, con tanto di macchina organizzativa, finanziatori e programma.
E pronti a correre sembrano anche i suoi più vicini sostenitori, come Matteo Richetti, ex presidente dell’assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna e deputato alla Camera, che a spada tratta difende la linea del primo cittadino fiorentino, tanto da arrivare a chiedere le dimissioni del direttore de L’Unità, Claudio Sardo, per un titolo sgradito: “No di Renzi al governo Bersani”. Il titolo, ha dichiarato su Facebook Richetti, “è esattamente il contrario della verità. E’ cioè del fatto che Matteo Renzi ha sostenuto e sostiene lealmente la decisione che Bersani sia la nostra indicazione a premier. Ha solo precisato che occorre fare in fretta. Voler dare di Renzi l’idea della persona inaffidabile e che sotto sotto non pensa quel che dice, ci rigetta nella propaganda. Di parte, nemmeno di partito”. La richiesta è poi rientrata con tanto di scuse, ma i toni sono già quelli da campagna elettorale.
Sull’altro fronte, l’ammonimento di Merola va, invece, ai giovani turchi, ‘gli spartani’, irrequieti già prima del voto e ora animati da nuova forza. Accanto a loro c’è l’europarlamentare bolognese Salvatore Caronna, che ha ipotizzato negli scorsi giorni la nascita di un nuovo partito socialista europeo. Ipotesi che Merola esclude, così come esclude la possibile corsa dei renziani.
Nonostante, insomma, l’endorsement renziano post voto, la priorità adesso, per il sindaco di Bologna, è restare uniti. Anche perché, ricorda Merola, “tutto in questo paese dimostra che c’è bisogno di un autentico partito democratico, di maggiore potere per i cittadini di decidere della propria vita. Questa ispirazione originaria del Pd è confermata da tutto quello che sta succedendo. Si mette in discussione la rappresentanza democratica pensando che la democrazia diretta di Atene e Sparta sia la soluzione, cosa che ha portato solo a dittature totalitarie in tutto il mondo. C’è una crisi democratica e l’idea di rispondere con un aumento di democrazia in tutta la vita sociale e in tutte le istituzioni è la grande idea del Pd”. Bisogna solo attuarla.