A Taranto l’inquinamento uccide. E impedisce persino di seppellire i morti. Nella città dei veleni, dove secondo i dati dello studio Sentieri diffusi dal ministero della Salute si muore di più a causa del disastro ambientale, non si può più riposare nella ”nuda terra”. Perché è inquinata. Le analisi richieste dal comune ionico a ottobre 2012 e consegnate da Arpa Puglia a febbraio scorso hanno infatti confermato la presenza di un cocktail letale di agenti nocivi: diossina, benzoapirene, ma anche berillio, mercurio e nichel hanno contaminato i terreni del cimitero san Brunone, situato proprio ai piedi delle ciminiere dell’Ilva e a pochissimi metri dal parco minerali dello stabilimento dal quale ogni anno, secondo le perizie del tribunale, si diffondono in maniera incontroilata circa 700 tonnellate di polveri.

Il Comune, quindi, ha cercato di correre ai ripari. In attesa delle bonifche che ora sono di stretta competenza del Commissario straordinario nominato dal Governo, Alfio Pini, e delle quali al momento non sembra esserci alcuna traccia, l’ente amministrato dal sindaco Ippazio Stefano ha dovuto rinviare le riesumazioni in attesa che il personale della società cooperativa “L’ancora” che si occupa dei servizi cimiteriali, si doti dei dispositivi di sicurezza. Il comune ha già sollecitato l’azienda affinché vengano forniti ai necrofori abbigliamento e altri strumenti di sicurezza capaci di impedire qualunque contatto con il terreno. Un’operazione, tuttavia, che la cooperativa non sembra in grado di realizzare in tempi brevi. Ma nel frattempo cosa accade a quanti hanno chiesto di riposare sottoterra? Le possibilità sono due: aspettare in una cella frigorifera al costo di sei euro al giorno oppure “emigrare” – al Sud non capita solo ai vivi – verso un altro camposanto. “Il comune – spiega al fattoquotidiano.it l’assessore all’ambiente Vincenzo Baio – ha fatto tutto ciò che poteva fare. Tenga presente che nella stessa relazione Arpa erano contenuti i dati dei giardini della scuola Deledda e anche lì abbiamo fatto transennare i terreni e siamo intervenuti per garantire la sicurezza dei bambini”.

Ma l’interdizione dei terreni del cimitero è solo l’ultima misura di sicurezza al quartiere Tamburi. Il sindaco Stefano, infatti, aveva già vietato con due ordinanze del 2010 e del 2012 l’accesso alle aree verdi “non pavimentate” dell’intero rione. Una decisione presa, anche allora, dopo una serie di indagini dell’Arpa che il sindaco definì all’epoca “un atto di prevenzione per dimostrare che i controlli a tutela dei cittadini sono costanti”. La città intanto si prepara alla nuova manifestazione ambientalista fissata per domani.

Dopo i circa quindicimila manifestanti scesi in piazza il 15 dicembre scorso, i movimenti contro l’inquinamento sperano ora in un secondo successo numerico. Un’iniziativa organizzata per sostenere la magistratura ionica nella sua inchiesta contro i vertici aziendali dalla cosiddetta legge “salva Ilva” varata dal Governo Monti e su cui il prossimo 9 aprile si dovrà esprimere la Corte costituzionale. Una norma ritenuta dai magistrati incostituzionale perché oltre a concedere all’azienda della famiglia Riva la possibilità di commercializzare prodotti sequestrati, annienterebbe completamente il diritto alla salute concendendo all’Ilva una cappa di 36 mesi di ‘impunità’ dalle norme penali e processuali.

Il prossimo 14 aprile l’intera cittadinanza sarà chiamata ad esprimere attraverso un referendum consultivo il proprio parere sulla chiusura parziale o totale della fabbrica Ilva dalla quale, secondo i periti del gip Patrizia Todisco, “si diffondono malattia e morte”. Un referendum che spaventa e divide ancora di più una città già inesorabilmente lacerata tra salute e lavoro. 

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