Suor Albina e suor Teresa, monache di clausura del convento di S. Maria del Carmine di Camerino, erano state accusate di aver rubato 300 mila euro provenienti dalla vendita di un terreno agricolo, ma dopo tre gradi di giudizio sono state assolte: "Ratzinger non ci ha mai ascoltate, il nuovo pontefice ci ridia la dignità"
Si è incatenata in Piazza Maggiore, davanti alla basilica di San Petronio, e reggendo un cartello tra le mani si è appellata a Papa Francesco: “Basta persecuzioni, basta vili silenzi, basta omertà. Sua santità, per favore, intervenga”. La protesta è stata messa in atto da suor Albina, 78 anni, ex monaca di clausura, scesa in piazza per chiedere alla Chiesa, quell’istituzione religiosa rinnovata dal “volto buono” del nuovo pontefice, “di fare giustizia”. Perché lei, che per 48 anni ha vissuto chiusa in monastero, “lasciando tutto e tutti” per dedicarsi totalmente alla preghiera “in una forma assoluta come quella della clausura cattolica”, dalla chiesa è stata cacciata, assieme alla consorella Suor Teresa e all’ex custode del di S. Maria del Carmine di Camerino, Pierpaolo Melchionda, con l’accusa “più infamante”: aver rubato del denaro.
La storia delle due monache inizia nel 2007 quando l’Ordine delle Carmelitane dell’Antica Osservanza le allontanò con un decreto di espulsione, firmato dall’Ordine dei Carmelitani e dalla Congregazione dei Religiosi, “per aver rubato 300.000 euro”. Ma quel denaro, proveniente dalla vendita di un terreno di proprietà del monastero, effettuata con l’approvazione del vescovo, per raccogliere le risorse necessarie ad apportare alcune migliorie alla struttura, come l’installazione di un ascensore “per le sorelle più anziane – spiega suor Albina – noi non l’abbiamo mai preso”.
Anzi, chiarisce la monaca, “è stato versato regolarmente sul conto corrente delle suore, al quale comunque non potevamo accedere senza le dovute autorizzazioni”. E la giustizia italiana ha dato loro ragione. Perché in seguito alla ‘cacciata’ dall’ordine, Suor Albina, suor Teresa e Pierpaolo Melchionda subirono ben 3 processi penali e uno civile, che si conclusero tutti con la piena assoluzione. Tuttavia, “nonostante avessimo regolarmente informato la curia dell’esito dei procedimenti legali”, la chiesa non ha mai fatto alcun passo indietro. E l’espulsione non è stata revocata.
“La giustizia ha dimostrato che non abbiamo preso nulla – spiega Melchionda, che per il momento ospita le monache senza dimora – ma ormai il danno è fatto. Le suore sono rimaste senza casa, io senza lavoro per anni. D’altronde chi mai avrebbe assunto qualcuno accusato di estorsione, tra le altre cose?”. Ciò che chiedono, le due monache e l’ex custode del convento, è che anche la chiesa riconosca “l’errore commesso” nei loro confronti. “Vorremmo che il pontefice ci ricevesse, e che ci fosse chiesto scusa – spiega suor Albina – per otto anni abbiamo pregato Benedetto XVI ma non siamo stati ascoltati, ora speriamo che sia Papa Francesco a restituirci la dignità. Perché in questi anni ci hanno detto di tutto: ci hanno accusato di essere delle prostitute, delle ladre, delle malate di mente, ma sbagliavano e chiediamo solo che questo venga pubblicamente riconosciuto”.
Per questo motivo la protesta è itinerante, e dal 2008 il gruppetto gira le piazze di tutta Italia per chiedere attenzione. Per raccontare la loro storia. Prima a Roma, quando si incatenarono in Piazza San Pietro, poi a Bari, a Modena, a Bologna. “E andremo avanti finché qualcuno non ci ascolterà, non ci arrenderemo, non lasceremo che la nostra storia venga dimenticata” promette suor Albina, che con suor Teresa ha anche aperto un blog http://lesuorelegate.wordpress.com/
Oltre alle scuse, dalla Chiesa le suore pretendono anche un risarcimento danni. “Fino a oggi non ci hanno offerto nemmeno un bicchiere d’acqua, nonostante ogni nostra protesta si sia svolta davanti a un luogo religioso – continua la monaca – ma hanno torto, ed è giusto che sia la curia a pagare le spese legali che ci siamo visti costretti ad affrontare. Purtroppo anche nella Chiesa Cattolica ci sono molte ingiustizie, che vengono fatte al suo interno, da prelati, che sfruttando il loro potere gerarchico distruggono la dignità dei loro confratelli e consorelle. E’ ora che chi ha sbagliato paghi”.