L'istituto Nomisma ha presentato a inizio aprile il suo osservatorio Wine Monitor. La fotografia di quanto accade nel settore è impietosa, ma le speranze per il futuro non mancano
I vini di fascia alta – quelli da 10 euro e più alla bottiglia – sono sempre più assenti dalle tavole degli italiani, ma è l’intero mercato nazionale del nettare di Bacco a soffrire. L’osservatorio di Nomisma, il Wine Monitor, lanciato all’inizio di aprile, ha messo in luce nel suo rapporto Suvey Wine Monitor 2013 i risultati negativi delle vendite nel 2012, rivelando come a “tenere” sia solo il prodotto economico, da 2 euro alla bottiglia. Insomma il vino è in recessione spinto dalla crisi inesorabile che ha intaccato i redditi degli italiani. L’unico fronte su cui riusciamo a resistere è quello estero dove le vendite proseguono con buon successo. Il vino italiano non piace più? Non proprio ma i consumi interni non riescono a risollevarsi così si è registrato un calo del 2% generale e del 3,6% nella grande distribuzione, mentre le esportazioni fanno sorridere con un +6,6%.
Dati comunque allarmanti per un settore che vale circa 8 miliardi di euro; uno scenario negativo dal quale l’Italia secondo Pietro Modiano, presidente di Nomisma, “potrebbe iniziare ad uscire solamente ad inizio 2014 con una leggera ripresa del Pil”. Nel frattempo si va in forze all’estero, tanto che il report evidenzia come 2 produttori su 3 prevedano esportazioni in crescita nel prossimo biennio, comprese le aziende più piccole. Infatti l’80% delle imprese con meno di 2 milioni di fatturato esporta in Germania e Stati Uniti, una percentuale che scende via via che ci si sposta su mercati emergenti ma con dinamiche di crescita più elevate (come Russia e Brasile, dove l’incidenza scende sotto al 30%). Perché nella partita del vino non contano le dimensioni; e così sul versante estero il 2012 ha portato ad un record di 4,7 miliardi di fatturato anche se il successo non è stato generalizzato. In Cina c’è stato un leggero calo delle esportazioni, dal 6,5% di due anni fa al 6,1% del 2012 e anche in Brasile la quota si è ridotta passando all’11,9% contro il 13,7% del 2011. Essere competitivi all’estero senza abbandonare l’Italia è il compito a cui sono chiamate le imprese nostrane. “Il rilancio non può che passare dalla GDO” – sostiene Gianni Zonin, presidente di Casa Vinicola Zonin – dato che questa è sempre più un canale fondamentale per la distribuzione di vino in Italia. Anche grazie alle enoteche inserite nei punti vendita più moderni, create per proporre al consumatore il vino di qualità e in grado di garantire un assortimento di vini migliore, aggiornato e competitivo in termini di prezzi. La grande distribuzione oggi chiede perciò un’attenzione sempre crescente alla qualità dei prodotti, così che, migliorando l’offerta, si possa cercare di arginare il calo dei consumi, dovuto anche alla crisi economica del momento”.
Un’altra leva di sviluppo può essere l’enoturismo, almeno secondo Donatella Cinelli Colombini, fondatrice del Movimento Turismo del Vino: “L’Enoturismo – ha commentato – può avere un ruolo determinate per lo sviluppo delle vendite di vino. Il turismo nel mondo cresce a una velocità del 3,3% all’anno, è insomma l’unica economia matura che continua a crescere”. Mentre se si guarda alle politiche di sviluppo all’estero non c’è solo il Nord-America che da sempre rappresenta il nostro mercato più redditizio: “Vedo grandi possibilità – commenta Rolando Chiossi, vicepresidente del Gruppo Cantine Riunite – per i nostri vini in Brasile e Messico che, con la Russia, hanno purtroppo in comune ostacoli tariffari e non tariffari che ci penalizzano rispetto ad alcuni competitor. Anche la Cina, dove attualmente soffriamo un notevole gap di posizionamento rispetto ai vini francesi, cileni ed australiani, rappresenta il mercato in cui occorre investire a lungo termine”.
di Massimiliano Carbonaro