Dopo il caso Liguria ora anche quello del Lazio. L’inchiesta che ha coinvolto l'ex presidente del consiglio regionale riguarda la proroga fuori tempo massimo dell’incarico di Nazareno Cecinelli. Il politico deve rispondere di abuso d'ufficio. Contro di lui le dichiarazioni dell'ex capogruppo Pdl Franco Fiorito
C’è un altro politico indagato che voterà per l’elezioni del prossimo presidente della Repubblica. E’ Mario Abbruzzese, ex presidente del consiglio regionale del Lazio, finito sotto inchiesta per abuso d’ufficio per la proroga fuori tempo massimo dell’incarico di Nazareno Cecinelli, segretario generale al consiglio regionale Lazio. Una nomina finita nel mirino della Procura di Roma e decisa insieme a Claudio Bucci (Idv), Raffaele d’Ambrosio (Udc), Gianfranco Gatti (lista Polverini), Isabella Rauti, moglie di Alemanno e Bruno Storre (Pd) e che è costata a tutti la medesima accusa. L’indagine tuttavia è ancora in corso, e proprio la settimana scorsa il pm Alberto Pioletti ha chiesto una proroga di altri tre mesi.
Oltre la regione Lazio c’è anche la Liguria che invierà a Roma per la nomina del futuro inquilino del Quirinale tre grandi elettori sfiorati o coinvolti in alcune indagini. Il consiglio regionale nei giorni scorsi ha votato e scelto i nomi, pescando Luigi Morgillo, capogruppo Pdl indagato per peculato, Rosario Monteleone, presidente del consiglio regionale in quota Udc ritenuto dai magistrati vicino al capo-locale della ‘ndrangheta di Genova e il governatore del centrosinistra Claudio Burlando in contatto, stando alle carte dei carabinieri, con un imprenditore in odore di mafia, già condannato per corruzione.
A puntare il dito contro Mario Abbruzzese era stato soprattutto Franco Fiorito, l’ex capogruppo pdl alla regione Lazio (poi sostituito da Carlo De Romanis) arrestato mesi fa con le accuse du peculato e tornato libero alcuni giorni fa. Er Batman d’Anagni – questo il suo famigerato soprannome – durante l’interrogatorio di garanzia, accusò Abbruzzese di creare “castelletti” per accantonare soldi a cui attingevano tutti i capogruppo presenti in regione. Secondo Fiorito, però, anche tutti i componenti dell’ufficio di presidenza, anche i presidenti di gruppo e di commissione avevano diritto a questi emolumenti. Fiorito raccontò anche di un “patto di spartizione” di cui sarebbero stati a conoscenza altri indagati. “Sono stati loro”, ha detto l’ex capogruppo del Pdl, “con l’avallo tecnico del segretario dell’ufficio di presidenza Nazareno Cecinelli, a stabilire la quota del denaro che doveva servire a finanziare i partiti”. Accuse che tuttavia non hanno mai trovato riscontro negli atti delle indagini della procura di Roma.