Tangenti, controllo dei boss e materiali scadenti, dal restauro delle mura alla nuova funivia. Secondo gli investigatori della Squadra mobile, il sistema ruotava intorno a Francesco e Vincenzo Morici. Il loro primo "colpo", i lavori milionari del porto voluti dalla Protezione civile di Bertolaso. I loro nomi emergono anche nell'inchiesta sul senatore D'Alì
Mafia e corruzione. Accade in Sicilia, a Trapani, dove Polizia e Guardia di Finanza hanno sequestrato 30 milioni di euro di beni e società a due imprenditori molto noti nell’isola, Francesco e Vincenzo Morici, celebri per essersi aggiudicati i lavori per il primo “grande evento” della protezione civile targata Guido Bertolaso: i 45 milioni di euro di appalti per il porto, un’opera che doveva essere costruita per la Coppa America del 2005, ma che non è ancora stata finita.
Otto anni dopo si scopre che i due Morici, padre e figlio, secondo la magistratura, erano a capo di un sistema che si muoveva indisturbato grazie agli appoggi garantiti da politica e burocrazia, anche in cambio di mazzette, e sostenuto dall’ala di Cosa Nostra capeggiata dal latitante Matteo Messina Denaro. I Morici, per gli investigatori, erano infatti diventati una potenza economica giocando la loro partita imprenditoriale con carte truccate: l’avallo dei boss, la conoscenza in anticipo delle caratteristiche chieste dai bandi di gara e la possibilità di inserire nei bandi alcuni requisiti che loro e non altre imprese erano in grado di garantire. Così si erano aggiudicati appalti importanti come quelli per il risanamento delle antiche mura della città (7 milioni), per la costruzione della Funivia Trapani-Erice (9 milioni) e per il porto di Trapani (45 milioni) questi ultimi finanziati, e ancora oggi non completati, ai tempi delle gare della Louis Vuitton Cup. Un “grande evento” dietro il quale si muoveva la mafia.
Le imprese di Cosa Nostra a Trapani si sono occupate delle forniture e, come hanno rivelato alcuni imprenditori, chi costruiva sapeva bene che i loro materiali erano scadenti. Tanto che le antiche mura della città, appena recuperate, hanno già ceduto e hanno fatto sprofondare tratti della strada litoranea della città. Ferro malconcio risulta poi essere stato impiegato (per ammissione di chi lo ha fornito) anche per le nuove banchine del porto e per la Funivia per Erice.
Gli imprenditori sapevano bene che il materiale utilizzato era scadente. Ma, come è stato spiegato dai testimoni, acquistando forniture di quel tipo era più facile far uscire soldi in nero dai bilanci, per poi intascarlo esentasse o suddividerlo con boss, politici e burocrati.
Gli investigatori, che hanno eseguito un provvedimento di sequestro emesso dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani – la richiesta è arrivata dal questore Carmine Esposito – sono andati a bussare alle porte di decine e decine di società da Trapani a Roma, e poi ancora a Milano, Gorizia e Pordenone. Una vasta holding d’imprese impegnate soprattutto nel settore dell’edilizia, tutte riconducibili ai Morici
Il nome di Francesco Morici compare in diverse indagini antimafia. E spunta anche dagli atti dell’inchiesta contro l’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, il parlamentare del Pdl sotto processo (rito abbreviato) a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. I Morici, risulta da un’intercettazione e dalle parole dei pentiti, sostenevano infatti di avere l’ex senatore Pdl come sponsor in molte gare di appalto.
“Corrupti mores” è stata denominata l’operazione, “comportamenti corrotti”. Numerose le tangenti “intercettate” lungo questa indagine gli investigatori e in particolari quelli della Polizia diretti dal dirigente della divisione anticrimine Giuseppe Linares, “mazzette” pagate a politici e pubblici funzionari, della Provincia regionale di Trapani dove da qualche settimana è stata avviata dalla prefettura una ispezione che potrebbe portare allo scioglimento per inquinamento mafioso. Una decisione che rischia di essere presa prima ancora che la Provincia scompaia per legge assieme alle altre 8 dell’isola come stabilito il governatore Rosario Crocetta. Intanto però il grosso dei fondi pubblici è andato speso, è servito ad arricchire la mafia e ha lasciato più povera la Sicilia.