Alla fine ce l’hanno fatta. I gruppi anti-abortisti del Kansas sono riusciti a far passare una legge che afferma che la vita inizia “al momento della fecondazione”. La misura è passata alla Kansas House of Representatives (90 voti contro 30) e poche ore dopo anche al Senato dello Stato. Con la firma del governatore repubblicano Sam Brownback, la legge entra ufficialmente in vigore in Kansas.
Questo Stato dell’heartland americano, dove prosperano alcuni dei gruppi pro-life più potenti degli Stati Uniti – tra questi “Operation Rescue” e la “Kansas Coalition for Life” -, ha già delle regole particolarmente restrittive in tema di aborto. La nuova legge ha l’effetto di renderle ancor più restrittive. Affermando che “la vita inizia al momento della fecondazione”, i legislatori del Kansas hanno infatti stabilito che le cliniche che ancora intendono praticare l’aborto dovranno avvertire le donne di tutti i rischi che comporta l’interruzione di gravidanza (per esempio un presunto legame di causa-effetto tra aborto e tumore al seno, mai dimostrato scientificamente nella comunità medica); queste stesse cliniche non potranno più godere né di finanziamenti pubblici né di nessun tipo di incentivo fiscale; il personale medico delle cliniche abortiste non potrà in nessun modo partecipare a corsi di educazione sessuale nelle scuole. Viene anche confermato l’assoluto divieto all’offerta di servizi abortivi negli ospedali pubblici.
“Persino i costi dell’aborto per salvare la vita di una donna non saranno più deducibili dalle tasse”, spiega Elise Higgins, coordinatore in Kansas della “National Organization for Women”. I gruppi abortisti in Kansas sono del resto sotto attacco da anni. Qui, a Wichita, nel 2009, è stato ammazzato davanti a una chiesa George Tiller, uno dei pochi dottori che praticava aborti nello Stato. Sempre a Wichita una ginecologa, Mila Means, è finita sotto protezione dell’FBI per aver annunciato di voler aprire una clinica di servizi alle donne (che poi non ha mai inaugurato). Personale medico e infermieristico sono soggetti a continue pressioni e minacce da parte dei gruppi antiabortisti, che organizzano picchetti, depongono centinaia di croci davanti alle cliniche e travolgono le cliniche stesse di centinaia di denunce per presunte violazioni delle leggi sanitarie.
Il Kansas non è d’altra parte il solo Stato americano dove il diritto all’aborto è ormai un ricordo. La misura sulla “vita che inizia alla fecondazione” è stata adottata anche in Missouri, Kentucky, Arkansas, Illinois, Louisiana, North Dakota e Ohio. In un’area geograficamente enorme, che comprende Missouri, North e South Dakota, Mississippi e Montana, esiste ormai una sola clinica che pratica l’interruzione della gravidanza. Una donna che voglia abortire è costretta a viaggiare centinaia di chilometri, con le prevedibili conseguenze psicologiche, oltre che economiche. E in una recente visita proprio a Wichita, Troy Newman, a capo di “Operation Rescue”, la più potente organizzazione anti-abortista d’America, ci raccontava con orgoglio i numeri della sua battaglia – “Vent’anni fa c’erano 2200 cliniche abortiste in America. Ora sono 670” – e presentava la sua prossima iniziativa: un sito con nomi, cognomi, foto, indirizzi dei medici abortisti d’America.
E’ ovvio che, oltre i risultati sia pure importanti nei singoli Stati, quello cui gli anti-abortisti mirano è però soprattutto una cosa: la cancellazione della “Roe v. Wade”, la storica sentenza della Corte Suprema che nel 1973 legalizzò l’aborto. Da anni gruppi come “Operation Rescue” attendono il momento più propizio per tornare davanti alla Corte Suprema dove, dicono, dovrebbero poter contare su una maggioranza di 5 giudici su 9 contrari all’aborto. A quel punto, con una sentenza della Corte Suprema, non ci sarebbe più bisogno di singole misure in singoli Stati. L’aborto, semplicemente, sarebbe bandito in tutti gli Stati Uniti.